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Cultura

IN HOC SIGNO VINCES E RESURREZIONE, SIMBOLI DEL POTERE E SIMBOLI DELL’ANIMA

IN HOC SIGNO VINCES E RESURREZIONE, SIMBOLI DEL POTERE E SIMBOLI DELL’ANIMA

IN HOC SIGNO VINCES E RESURREZIONE, SIMBOLI DEL POTERE E SIMBOLI DELL’ANIMA

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Il simbolo del potere

Il 28 ottobre 312 fu combattuta la battaglia di Ponte Milvio  tra l'imperatore romano Costatino I, che governava le regioni occidentali dell'impero, e Massenzio, (imperatore in Italia e Africa, ma non riconosciuto dai colleghi della tetrarchia).

A seguito della vittoria delle sue truppe, Costantino divenne l'unico sovrano della parte occidentale dell'impero, ulteriore passo nel suo percorso politico che lo portò a divenire imperatore unico e porre fine alla Tetrarchia (forma di governo che consistette nella divisione del territorio dell'Impero Romano in quattro parti, ognuno retto da un'amministrazione distinta).

L'importanza della battaglia deriva dal racconto dei cronisti cristiani Eusebio di Cesarea e Lattanzio, secondo i quali l'evento segnò l'inizio della conversione di Costantino al Cristianesimo, cosa del tutto dubbia, ma decisiva per quella che sarà la trasmissione del potere imperiale al papa di Roma.

Lattanzio narra che la notte prima della battaglia Costantino ebbe un sogno in cui gli fu detto di porre un simbolo cristiano sugli scudi dei suoi soldati.

Eusebio racconta che Costantino e i suoi soldati ebbero una visione celeste inviata dal Dio cristiano, passata alla storia come la famosa visione detta: “In hoc signo vinces” (in questo segno vincerai).

La narrazione rappresenta il preludio della altrettanto famosa Donazione di Costantino (Constitutum Constantini) un falso editto dell'imperatore contenente concessioni alla Chiesa cattolica e utilizzato per giustificare il passaggio ai pontefici romani del potere temporale dell’Impero romano d’Occidente.

A Roma il papa del tempo era Silvestro I, ma il passaggiodal paganesimo al cristianesimo fu di Costantino e della madre Elena. Accanto ad ogni prefetto dell’Impero fu messo un vescovo, possibilmente parente del primo.

Costantino era il capo dello Stato, ma si ritagliò anche una funzione di vescovo, e tale era considerato, specialmente in Oriente; si autodefinì "vescovo dei vescovi" e in questo ruolo l'imperatore intervenne in prima persona per ricomporre le diatribe che scuotevano la Chiesa al proprio interno.

La croce, pertanto, è il simbolo del passaggio dell’Impero romano dall’imperatore al papa e della trasformazione della Roma pagana in Roma cristiana.

La croce era lo strumento con il quale i romani condannavano alla morte coloro che avevano trasgredito alle leggi romane, quindi anche ai ribelli politici non romani.

La crocifissione come pena giudiziaria fu soppressa da Costantino. Fu così possibile passare ad una raffigurazione della croce che non suscitasse più associazioni  negative e che, anzi, fosse il segno della vittoria.

Vittoria di Costantino, che sconfigge Massenzio, ma anche della Chiesa cattolica che conquistò non solo legittimità, ma addirittura l’eredità del potere temporale dell’Impero romano d’Occidente.

Quello della croce è pertanto un simbolo di potere temporale, prima significante martirio di chi non obbediva alla legge e poi vittoria di chi si assoggettava alla nuova religione legittimata dall’Impero.

Il simbolo dell’anima

Il simbolo che più dovrebbe esprimere il significato del messaggio cristiano, ossia la resurrezione e, pertanto, la sconfitta della morte, è quello di Gesù che, trasfigurato, viene visto sopra la sua tomba terrena, così come narrano i Vangeli.

Nel Vangelo di Giovanni si legge: “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto”.

Nel Vangelo di Luca la narrazione è leggermente diversa: “Ma il primo giorno della settimana, la mattina prestissimo, esse [le pie donne che avevano seguito Gesù, ndr] si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparati. E trovarono che la pietra era stata rotolata dal sepolcro. Ma quando entrarono non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre se ne stavano perplesse di questo fatto, ecco che apparvero davanti a loro due uomini in vesti risplendenti; tutte impaurite, chinarono il viso a terra; ma quelli dissero loro: "Perché cercate il vivente tra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordate come egli vi parlò quand'era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell'uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare". Esse si ricordarono delle sue parole. Tornate dal sepolcro, annunziarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri. Quelle che dissero queste cose agli apostoli erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria, madre di Giacomo, e le altre donne che erano con loro”.

Nel Vangelo di Matteo le donne diventano due: “Nella notte del sabato, verso l'alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l'altra Maria andarono a vedere il sepolcro. Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e vi sedette sopra. Il suo aspetto era come di folgore e la sua veste bianca come neve. E, per lo spavento che ne ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte. Ma l'angelo si rivolse alle donne e disse: "Voi, non temete; perché io so che cercate Gesù, che è stato crocifisso. Egli non è qui, perché è risuscitato come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva. E andate presto a dire ai suoi discepoli: "Egli è risuscitato dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete". Ecco, ve l'ho detto". E quelle se ne andarono in fretta dal sepolcro con spavento e grande gioia e corsero ad annunziarlo ai suoi discepoli. Quand'ecco, Gesù si fece loro incontro, dicendo: "Vi saluto!" Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e l'adorarono. Allora Gesù disse loro: "Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno".

Infine nel vangelo di Marco, ritenuto il più vicino alla cornaca degli avvenimenti, si legge: “Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo, e Salome comprarono degli aromi per andare a ungere Gesù. La mattina del primo giorno della settimana, molto presto, vennero al sepolcro al levar del sole. E dicevano tra di loro: "Chi ci rotolerà la pietra dall'apertura del sepolcro?" Ma, alzati gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata; ed era pure molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto a destra, vestito di una veste bianca, e furono spaventate. Ma egli disse loro: "Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato; non è qui; ecco il luogo dove l'avevano messo. Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi ha detto". Esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro, perché erano prese da tremito e da stupore; e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura”.

Risveglio e innalzamento

Due sono i verbi greci usati nei Vangeli per definire la resurrezione.

Il primo è eghéirô, letteralmente «risvegliare».

Si ricorre a un simbolo comune, quello che raffigura la morte come un sonno e la vita come uno stato di veglia.

In Marco 16,6 :“Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l`avevano deposto (ὁ δὲ λέγει αὐταῖς· Μὴ ἐκθαμβεῖσθε· Ἰησοῦν ζητεῖτε τὸν Ναζαρηνὸν τὸν ἐσταυρωμένον· ἠγέρθη, οὐκ ἔστιν ὧδε· ἴδε ὁ τόπος ὅπου ἔθηκαν αὐτόν”).

Matteo 27: 53 E uscendo dai sepolcri, dopo la sua [di Gesù, ndr] risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti (καὶ ἐξελθόντες ἐκ τῶν μνημείων μετὰ τὴν ἔγερσιν αὐτοῦ εἰσῆλθον εἰς τὴν ἁγίαν πόλιν καὶ ἐνεφανίσθησαν πολλοῖς).

Il termine usato è ἔγερσις (èghersis), “eccitamento”, dal verbo ἐγείρω (eghèiro) che significa “svegliare”.

Con la risurrezione-«risveglio» si vuole sottolineare che Cristo (l’iniziato) esce dal grembo della morte (profana) e ritorna alla vita (iniziatica), a una presenza efficace nella storia.

Non per nulla nella narrazione relativa alle apparizioni si insisterà sulla verificabilità della realtà del Risorto che si fa toccare, parla, incontra i discepoli e mangia. Ci si rifiuta esplicitamente di concepire Cristo come uno spettro evocato magicamente: «Stupiti e spaventati, credevano di vedere un fantasma… Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Luca 24,37.39).

In questo caso la narrazione, se la intendiamo non secondo l’esegesi cristiana, ma in chiave iniziatica, ci presenta un iniziato paradigmatico, ossia un essere umano che ha preso coscienza del suo Sé.

C’è, però, un altro verbo greco usato per definire la risurrezione ed è anístêmi.

Esso indica il «levarsi in piedi», quasi un innalzarsi possente dal sepolcro e dalla terra verso il cielo.

Avviene così, simbolicamente, anche nella ritualistica connessa con la leggenda massonica di Hiram: si disfa la carne, stesa nella bara del defunto Maestro e risorge, si erge verso il cielo stellato il Maestro corpo di luce.

Nei Vangeli l'espressione in greco che indica la risurrezione dai morti è anàstasis nekrôn, con un significato assai più forte di quello della lingua italiana.

In greco è il rialzarsi di coloro che sono morti; ed è un'immagine assai vivida, poiché i morti sono i cadaveri, dai quali esce, si erge, il corpo animico (di luce).

Con la risurrezione-«innalzamento» si vuole sottolineare un evento che trascende il tempo e lo spazio. 

Qui il Risorto è il principio della liberazione dalla morte. Per questo, accanto al erbo anístêmi, «levarsi», si usa quello più esplicito, hypsoún, «innalzare».

Gianni Montefameglio, nel suo saggio: “Anàstasi-Risurrezione” (Facoltà Biblica – Pubblicazioni) scrive: «La parola greca anàstasis (ἀνάστασις) deriva dal verbo anìstemi (ἀνίστημι) che significa “far sorgere / innalzare / alzarsi / sorgere”. Questo verbo è composto dalla preposizione anà (ἀνά), “tra/fra”, e dal verbo ìstemi (ἵστημι) che vuol dire “causare o fare stare / porre / mettere / posare / stare”. Il vocabolo anàstasis (ἀνάστασις), siccome indica un “sollevamento”, una “alzata”, si presta bene ad indicare anche la risurrezione dai morti. Il verbo greco relativo - che si riferisce alla “alzata- anàstasis” - è ἀνίστημι (anìstemi), “innalzare/sorgere”, ed è usata anche con il senso di “risuscitare” ».

Nella seconda lettera ai Corinzi, San Paolo afferma: “Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi”. 

Ecco una delle prime spiegazioni che una morente nel corpo, ma già vivente nel corpo di luce, ha trasmesso alla madre, nel momento in cui stava preparandosi alla condizione di non trovarsi nuda, ma già vestita di quella parte del suo corpo che non è mortale.

San Paolo ci dice che il corpo mortale viene “assorbito dalla vita”, ossia si scompone nella materia, ma gli esseri umani sono dotati da Dio della “caparra dello Spirito”.

L'etimologia della parola caparra si riconduce all'unione di due parole latine: il verbo capere = prendere + arra o arrha = pegno, garanzia. 

La caparra dello Spirito è, pertanto un pegno, una garanzia che non tutto l’essere umano viene “assorbito dalla vita”, non tutto si decompone.

Ancora più esplicito San Paolo è nella prima lettera ai Corinzi, dove tratta il modo della resurrezione.

“Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale”.

Si semina un corpo materiale, che viene assorbito dalla vita e risorge un corpo spirituale, ossia quella parte del corpo che viene denominato celeste o glorioso. Un corpo che potremmo anche definire immaginale.

Noli me tangere

Riguardo alla resurrezione, sempre rimanendo in ambito cristiano, una delle questioni più interessanti della narrazione evangelica, raffigurata in molte opere d’arte, è il dialogo tra il Cristo e la Maddalena, riassunto in quella frase, tradotta in latino con: “Noli me tengere”, che ha dato luogo a diverse interpretazioni.

La Resurrezione, con la raffigurazione del “Noli me tangere” è in un affresco di Giotto, databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. È compreso nelle Storie della Passione di Gesù del registro centrale inferiore, nella parete sinistra guardando verso l'altare.

“Noli me tengere” è una frase che nel Vangelo di Giovanni (20, 17), Gesù risorto rivolge a Maria Maddalena; la frase prosegue: nondum enim ascendi ad Patrem meum «infatti non sono ancora salito al Padre mio», ed è interpretata come esortazione di Gesù alla Maddalena a non indagare, toccandolo.

Tangere è stato tradotto in italiano in due modi: non mi trattenere e non mi toccare.

Cei: “Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»”.

Nuova riveduta: “Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro»”.

Nuova Diodati: “Gesù le disse: «Non toccarmi, perché non sono ancora salito al Padre mio; ma va' dai miei fratelli e di' loro che io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro»”.

Il verbo originale in greco è ἅπτου (áptou), dal significato di legare, attaccare, annodare
toccare, stringere, abbracciare, afferrare.

Due i significati possibili.

Il non trattenere un corpo di luce è un insegnamento iniziatico importante per chi rimane nel corpo terreno e si rapporta ad un defunto con il dolore, il rimpianto e l’intento di mantenere legato a sé un essere umano amato. L’insegnamento è di lasciar andare chi non è più nel corpo terreno verso la sua nuova dimensione, per il bene di chi se ne va e per il raggiungimento di una pace interiore per chi rimane.

Tuttavia mi pare più interessante e significativo il secondo possibile significato, dato dalla traduzione non mi toccare.

Un significato che riguarda la sostanziale differenza energetica tra il corpo materiale terreno e quello di luce ultraterreno.

Un significato che trova una sua possibile spiegazione nella narrazione evangelica della trasfigurazione.

Trasfigurazione

Marco 9, 2-3: “Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche” (καὶ μετεμορφώθη ἔμπροσθεν αὐτῶν).

Matteo 17,1-2: “Sei giorni dopo, Gesù prese seco Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte.  E fu trasfigurato dinanzi a loro; la sua faccia risplendé come il sole, e i suoi vestiti divennero candidi come la luce” (καὶ μετεμορφώθη ἔμπροσθεν αὐτῶν).

Lc 9,28-29: “Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”.

Luca – a differenza degli altri due evangelisti – non utilizza il termine trasfigurazione: esso viene sostituito dalla perifrasi: «il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante».

Perché Luca non utilizza il termine “trasfigurazione”?

La ragione va ricercata nel testo originale degli altri due vangeli: in essi il termine “trasfigurazione” è la traduzione di “metamofosato” (fu trasfigurato).

Il verbo che Luca non utilizza è quindi “metamorfosare”, verbo troppo legato alla mitologia greca, in cui gli dei spesso compivano queste metamorfosi, questi cambi di forma.

Eppure proprio questo verbo sembra importante per la comprensione dell'episodio. 

Metamorfosi letteralmente significa “altra forma”, e può essere quindi inteso come un cambiamento radicale, come un “andare al-di-là della forma”.

Gesù riesce ad andare oltre la propria forma umana.

Un salto nella scienza e nella coscienza

L’energia, quella che nella Rivelazione segreta di Ermete Trismegisto è chiamata energheia coretiché (energia che tutto comprende), non si crea, non si distrugge, si trasforma.

La metamorfosi è pertanto consustanziale all’energia.

Due fisici H.S. Burr e F.S.C. Nostrop sostengono che il disegno e l’organizzazione di ogni cosa vivente è un campo elettromagnetico e che esso determina e viene determinato dagli elementi fisici. Il campo elettromagnetico stabilisce e mantiene il disegno. I due fisici hanno nominato questo campo Campo L o Campo vitale.

Il biocampo è composto in forma corporea da campi elettromagnetici coerenti.

La luce è un fenomeno del campo elettromagnetico. Un corpo di luce è un corpo elettromagnetico mediato da fotoni.

Possiamo pensare che la trasfigurazione o metamorfosi, sia un mutamento di forma da quella materiale, visibile da noi in immagini, a quella di elettromagnetica (di luce), altrettanto visibile in immagini?

L’aura, ossia il campo elettromagnetico, compresente con il corpo materiale, è oggi non solo visibile da alcune persone particolarmente sensibili, ma rilevabile dagli strumenti.

L’antica sapienza egizia considerava il cuore come sede di radicamento del corpo di luce contenente la nostra essenza (sia, particella di Sia, l’essenza del Tutto).

Un’esperienza di uno scienziato come Federico Faggin è, da questo punto di vista, interessante.

Nel suo recente libro intitolato “Irriducibile”, l’inventore dei microprocessori, apre ampi spazi alla riflessione sul rapporto tra quanto è trasmesso dalla tradizione e tra quanto potrebbe essere scoperto dalla scienza.

Scrive Faggin, all’inizio del suo libro: “Tornato a letto, mentre aspettavo di riaddormentarmi, sentii improvvisamente un’energia fortissima emergere dal petto: era non solo un’esperienza mai provata prima, ma un fenomeno così straordinario che non avrei mai potuto immaginare. Questa energia viva era amore, ma un amore così intenso e così incredibilmente appagante che superava ogni sentimento e nozione che avevo sulla natura dell’amore. Ancora più incredibile era il fatto che la sorgente di questo amore fossi io. Si manifestava come un ampio fascio di luce bianca e scintillante, viva e beatifica, che sgorgava dal mio cuore con una forza incredibile. Poi all’improvviso quella luce esplose. Riempì la stanza e si espanse fino ad abbracciare l’intero universo con lo stesso bianco splendore. Ho capito allora, senza ombra di dubbio, che quella è la sostanza di cui è fatto tutto ciò che esiste. È ciò che ha creato l’universo partendo da se stessa. Poi, con immensa sorpresa, riconobbi che quella luce ero io! L’intera esperienza durò forse un minuto, però mi cambiò irreversibilmente. […]. Mi piace pensare che ho sperimentato la mia natura sia come particella sia come onda, per usare un’analogia con la fisica quantistica impossibile da comprendere con la logica ordinaria. L’aspetto particellare era la capacità di mantenere la mia identità nonostante sperimentassi me stesso come il mondo (aspetto ondulatorio). Però anche la mia identità era parte del mondo, perché mi sentivo “mondo” con il “mio” punto di vista. Così adesso intuisco che la mia identità è come uno degli infiniti punti di vista con cui Uno – il Tutto, la totalità di ciò che esiste – osserva e conosce se stesso. In altre parole, ciascuno di noi è un punto di vista di Uno, una parte di Uno indivisibile da Uno e, in quanto tale, eterna”.

Il libro di Faggin è un saggio sulla coscienza ed è, forse, nella coscienza il segreto della percezione delle trasfigurazioni e anche della nostra eternità.

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A sinistra - Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520) - A destra - Pietro di Cristoforo Vannucci, noto come Pietro Perugino, il Perugino o il divin pittore (Città della Pieve, 1448 circa – Fontignano, febbraio 1523), ...

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Hendrik van den Broeck (noto anche come Nicolas Hendrik, Henricus van Mechelen e Arrigo Fiammingo) (Malines, 1519 ca. – Roma, 28 settembre 1597) 

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