Image
Image
Image
Image
Image

Internazionali

La Germania verso la recessione

La Germania verso la recessione

di Guido Salerno Aletta  e Tommaso Sessa
 
Per la Germania, il problema non è trovarsi per la prima volta dopo trent’anni con un saldo negativo della bilancia commerciale, né è solo una recessione temporanea, da qui a pochi mesi, che la preoccupa. E’ piuttosto una nemesi storica che sembra essersi abbattuta, per essere stata pervicacemente arrogante e soprattutto ingrata nei confronti delle Potenze Alleate che assentirono alla sua Riunificazione. Intrattenendo relazioni dirette e proficue con Russia e Cina, la Germania era andata ben oltre il ruolo geopolitico assegnatole: l’abbattimento del Muro di Berlino comportava la Riunificazione della Germania, cui spettava il compito di spostare la Cortina di ferro più a nord-est, a ridosso della Russia, non certo di abbatterla.
E’ stata colpita nel suo stesso orgoglio, ed annaspa rendendosi conto di essere stata privata in pochi mesi di tutti i suoi riferimenti strategici: della autonomia geopolitica, del suo modello industriale vincente, basato sulla manifattura, sulla chimica e sulla fabbricazione di auto diesel ed a benzina, dell’immenso vantaggio competitivo conquistato con il ricorso al gas russo, che ha costi nettamente inferiori rispetto al fracking dei giacimenti di scisto su cui l’America ha puntato per acquisire la completa indipendenza energetica.
Il North Stream, collegato direttamente con la Russia, toglieva pure di mezzo l’annoso condizionamento della Ucraina; ed il suo raddoppio avrebbe trasformata la Germania in un grande hub energetico. L’Unione europea e poi l’euro avevano sortito effetti miracolosi: era riuscita ad imporre a tutti la propria costituzione economica, impedendo gli aiuti di Stato alle imprese ed il soccorso delle Banche centrali agli Stati; ad impedire le ricorrenti svalutazioni competitive che rendevano pericolosissima la competizione dell’Italia; a lucrare sulla debolezza della moneta unica per esportare a manetta.
Che poi, nella Storia, contano soprattutto i risentimenti, e quelli degli Usa in particolare, visto che hanno da sempre puntato sulla Germania per farne un baluardo contro le insidie del comunismo sovietico. Per contrastare il disavanzo commerciale ei confronti di Berlino ai tempi del marco, riuscivano a farlo rivalutare, con le buone maniere ma soprattutto con le meno buone; ma con l’euro, bisognava chiedere a Berlino di comprare di più, aprendo il mercato europeo ai prodotti americani. Era quello che aveva chiesto Obama, ancor prima di Trump, proponendo il TTIP: ma furono no! su tutta la linea, dai cereali geneticamente modificati ed alla carne agli ormoni, fino al reciproco riconoscimento delle normative nei settori ad altissimo valore aggiunto per gli Stati Uniti, dalle assicurazioni ai servizi finanziari e bancari. Come se non bastasse, Bruxelles aveva pure preso di mira i giganti tecnologici americani, le multinazionali che incassano fior di quattrini da questa sponda dell’Atlantico senza pagare tasse, usando ogni stratagemma. E, per colmo del dispetto, il Parlamento europeo aveva pure approvato in via di principio un trattato di protezione bilaterale degli investimenti con la Cina, l’ultimo fiore all’occhiello per la Cancelliera Angela Merkel a conclusione del suo terzo mandato coronato da ogni successo. Non contenta, dopo aver contestato duramente le posizioni di Donald Trump che chiedeva agli Europei di fare la loro parte, aumentando le spese per la difesa, per colmo dei colmi i vertici politici di Germania, Francia ed Italia avevano vagheggiato la costituzione di un esercito europeo. Davvero troppo, per gli Usa: dal Dieselgate alla mirabolante Tesla di Elon Musk, è stata una gragnuola di colpi sempre più pesanti: nelle auto elettriche, la esemplare affidabilità delle componenti meccaniche tedesche non serve più, e così il suo innegabile prestigio va in fumo. Il nuovo motore sono le batterie, e neppure l’alimentazione ad idrogeno su cui la Germania aveva investito per anni: ora è in coda.
All’origine di tutto, di tanta arroganza e di tanta ingratitudine verso gli Usa, c’è la Grande crisi finanziaria del 2008: come già accadde nel 1971, con il recesso unilaterale dall’impegno di convertire in oro il passivo del saldo commerciale, evento che provocò una crisi di fiducia nel dollaro, anche stavolta il mondo si è girato dall’altra parte, cercando alternative. Le perdite degli investitori tedeschi, e non solo loro, determinarono un effetto a cascata, provocando altre crisi: il ritiro del credito interbancario e la vendita affannosa degli investimenti effettuati in Grecia, Spagna ed Italia. Fu allora che Berlino decise di guardare a Pechino: economia ben più solida e solvibile rispetto a quella americana, dove il risparmio delle famiglie è consistente rispetto al debito invece la fa da padrone oltre Atlantico. E’ stato così che le industrie tedesche hanno venduto in Cina i prodotti strumentali rispetto al processo di infrastrutturazione civile ed industriale. Bisognava evitare che l’euro implodesse e continuare a vendere sul ricco mercato americano solo per far soldi.
Nessuna solidarietà, però: l’America non meritava più la gratitudine per la mal riposta fiducia. Ognun per sé, dunque, ma per la Germania la libertà di determinarsi sembra già finita, durata giusto trent’anni.
Ti piace questo articolo? Condividilo nel tuo profilo social.

RIFERIMENTI

ngn logo2

Testata totalmente indipendente, di proprietà dell’associazione Libera Stampa e Libera Comunicazione

Sostienici per dare una libera informazione

Donazione con Bonifico Bancario

TAGS POPOLARI

ISCRIZIONE NEWSLETTER

GDPRInviando questo messaggio accetto il GDPR e il regolamento sulla privacy.

Seleziona la casella per approvare.


 

Ricerca