Image
Image
Image
Image
Image

Internazionali

LA PERENNE AMBIZIONE DEL PRESIDENTE AMERICANO

LA PERENNE AMBIZIONE DEL PRESIDENTE AMERICANO

Di Cosimo Risi

               I Presidenti democratici, meno i repubblicani, coltivano a fine mandato l’ambizione di portare la pace in Medio Oriente. Ci riuscì Jimmy Carter con gli Accordi di Camp David (Settanta del XX secolo), non ebbe il Nobel per la pace che fu assegnato soltanto a Anwar al-Sadat e Menachem Begin. Ripeté l’impresa Bill Clinton (Novanta), neppure lui condivise il Nobel finito a Yasser Arafat, Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Ebbe maggiore fortuna, ma con esiti sul campo più modesti, Barack Obama: il Nobel gli fu assegnato a inizio mandato, dopo gestì la gloria del riconoscimento.

               Donald Trump promosse gli Accordi di Abramo, ma la sua stella non brillava presso i giurati di Oslo. L’ossessione prende ora Joe Biden. Dapprima seguace poco critico degli Accordi di Abramo, ora intende farne la leva per la pacificazione generale: addirittura estenderli in un patto a quattro. I Quattro sarebbero Arabia Saudita, Autorità Palestinese, Israele, Stati Uniti.

               Suoi autorevoli collaboratori sono in missione a Riad per convincere il partner più riluttante a giocare il gioco dei quattro cantoni. Il Principe ereditario e reggente del Regno è stato assolto dalle accuse di responsabilità nell’assassinio del giornalista Khashoggi, e d’altronde lo stesso Biden gli strinse la mano durante la visita a Riad. E’ un interlocutore a tutti gli effetti, dal momento che il Sovrano suo padre si astiene dalla vita pubblica.

L’Autorità Palestinese è fortemente indebolita dagli attacchi delegittimanti che vengono da Israele e dalle diatribe interne. Il Presidente Mahmud Abbas rinnova se stesso a oltranza, nel timore che libere elezioni presidenziali e politiche vedano il prevalere di Hamas, e dunque la radicalizzazione dello scontro non solo all’interno della galassia palestinese ma anche verso la comunità internazionale. Hamas figura fra le organizzazioni terroristiche, difficile quindi che si possa collaborare con un’autorità da lei presieduta.

               Israele vive la crisi più lacerante della sua breve storia. La società civile è spaccata in due tronconi. Per semplificare: il vecchio sionismo laico avverso il nuovo credo religioso del Grande Israele. Il Governo di destra-destra le prova tutte per spostare l’asse politico verso una sorta di teocrazia camuffata. Per raggiungere lo scopo mette mano agli equilibri istituzionali e depotenzia il ruolo della Corte Suprema. In mancanza di una costituzione, la Corte è l’organo di unica istanza per dirimere cosa sia “costituzionale” e cosa non lo sia per lo Stato. Finora un presidio di laicità e relativa apertura anche riguardo a certe rivendicazioni dei Palestinesi.

               Da quando il Governo tenta “il colpo di stato” si susseguono le manifestazioni di massa a difesa dell’attuale assetto. Il ranking internazionale precipita, il paradiso tecnologico delle start-up vacilla. Le Forze Armate ed i Servizi di sicurezza, finora estranei alla lotta politica, prendono posizione fino al rifiuto dei riservisti di rispondere alla chiamata: essi dichiarano di battersi per uno stato democratico e non per una dittatura camuffata.

               Il piano americano s’inserisce in un quadro frastagliato, ecco perché contempla una serie di concessioni reciproche a fronte di riassicurazioni da parte di Washington che il Medio Oriente resta una priorità dell’Amministrazione. Il che è venuto in dubbio, al punto che l’Arabia Saudita si è rivolta alla Cina per mediare la riapertura dei rapporti diplomatici con l’Iran e Israele tentenna nel sostenere l’Ucraina per non rovinare l’entente con la Russia.

               Stando alla stampa americana, il piano dovrebbe articolarsi in alcuni punti salienti: 1. l’Arabia Saudita riconosce Israele e apre la stura ai riconoscimenti di altri paesi musulmani; in cambio ottiene di essere inserita fra i paesi non-NATO che godono dell’ombrello americano di sicurezza; 2. Israele ottiene il riconoscimento saudita e, a seguire, del mondo musulmano, s’impegna a non annettere altri territori occupati e favorire la soluzione due popoli–due stati; 3. l’Autorità Palestinese ottiene il riconoscimento dei propri diritti territoriali, rifugge da tentazioni estremistiche, riceve aiuti sostanziosi dai paesi del Golfo; 4. gli Stati Uniti tornano centrali nell’area mediorientale fugando le ombre di Pechino e Mosca. Ed infine: il Presidente americano suggella il suo primo mandato con un risultato storico e prenota credibilmente il secondo.

               A presentarlo così, il piano sembra così ambizioso da essere sospetto di velleitarismo. Molti sono gli ostacoli sulla via della pace, quelli accumulati nei decenni e quelli di oggi. La divisione della società israeliana è la nota di maggiore inquietudine. Ecco perché si moltiplicano gli appelli al Primo Ministro Netanyahu perché receda dai passaggi più contundenti del progetto di riforma. Gli avversari della pace sono sempre in agguato e possono trarre vantaggio dalla débâcle del modello israeliano per cogliere il frutto per autoconsunzione.

              

 

Ti piace questo articolo? Condividilo nel tuo profilo social.

RIFERIMENTI

ngn logo2

Testata totalmente indipendente, di proprietà dell’associazione Libera Stampa e Libera Comunicazione

Sostienici per dare una libera informazione

Donazione con Bonifico Bancario

TAGS POPOLARI

ISCRIZIONE NEWSLETTER

GDPRInviando questo messaggio accetto il GDPR e il regolamento sulla privacy.

Seleziona la casella per approvare.


 

Ricerca