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Internazionali

AVREMO UN MONDO MONOPOLARE O MULTIPOLARE? - parte IV

AVREMO UN MONDO MONOPOLARE O MULTIPOLARE? - parte IV

di Nino Macrì Pellizzeri

Conclusioni

Non ho, a bella posta, riportato l’opinione di persone o giornali che possano essere in qualche modo ricondotti al mondo cinese. Il motivo è che la loro opinione poteva essere considerata orientata politicamente in quanto “giocatori, in campo per la squadra multipolare”. Ho preferito invece riferirmi a giornali che possono essere considerati “neutrali per definizione” e comunque non parte della squadra che ho appena menzionato. C’è però chi ha un’opinione molto, molto diversa ed anche questa idea ha trovato ampia rappresentazione ed è importante che sia valutata con attenzione.

Scrivono Stephen G. Brooks, professore al Dartmouth College e Guest professor all’Università di Stoccolma, e William C. Wohlforth, anch’egli professore al Dartmouth College. Essi fanno un’analisi storica. Prima del 1945 il multipolarismo era la norma. Si basava sulla presenza di almeno tre contendenti di uguale potenza in cui le alleanze cambiavano nel tempo. Esse creavano di volta in volta uno squilibrio di potenza (vero o presunto) da cui derivavano guerre sanguinose. Il cambio di alleanze poteva sconvolgere l’equilibrio del potere da un giorno all’altro; e gli autori citano un esempio. Nel 1801 l’imperatore russo Paolo I pensò seriamente di allearsi con Napoleone, piuttosto che contro di lui. Ciò aumentò i timori del Regno Unito di una possibile egemonia in Europa. Secondo alcuni storici gli Inglesi potrebbero aver avuto un ruolo nell’assassinio di Paolo pochi mesi dopo.

“Il mondo multipolare era un mondo brutto – sostengono gli autori - Le guerre tra le grandi potenze scoppiavano costantemente, più di una volta ogni decennio: la guerra dei trent’anni, le guerre di Luigi XIV, la guerra dei sette anni, le guerre napoleoniche, la prima e la seconda guerra mondiale. Ogni cambio di alleanza o modifica significativa di potenza era capace di generare una guerra. Se consideriamo il tempo dal XVII secolo fino ai nostri giorni, possiamo affermare che nessun Paese è mai stato così superiore a tutti gli altri in campo militare, economico e tecnologico allo stesso tempo, quanto lo sono oggi gli USA. Inoltre, oggi la gran maggioranza dei Paesi più ricchi del mondo sono legati a Washington da una serie di alleanze e istituzioni internazionali modellate allo scopo di cementare questa struttura. Gli USA possono oggi condurre una politica estera con meno vincoli esterni di qualsiasi altro paese leader nella storia moderna. Ciò era assolutamente evidente dal 1990 fino all’inizio di questo secolo.

Oggi la percezione di tale potere vacilla. Le guerre in Afghanistan e in Iraq, la crisi finanziaria, e soprattutto l’ascesa travolgente e la nuova politica cinese sembrano aver cambiato lo scenario. La guerra in Ucraina, per molti “ha suonato la campana a morto per il primato degli Stati Uniti, la loro incapacità di trattenere le forze del revisionismo e far rispettare l’ordine internazionale che avevano costruito”. Molti analisti, indicando le dimensioni dell’economia cinese hanno preconizzato un mondo bipolare, ma la maggior parte parlano di mondo multipolare e questa è la convinzione di Cina, Iran, Russia, India e molti altri Paesi del sud del mondo. “Questa visione è sbagliata – sostengono gli autori – il mondo non è né bipolare, né multipolare e non sta per diventarlo. Gli USA sono diventati meno dominanti negli ultimi 20 anni, ma rimangono in cima alla gerarchia del potere globale, al di sopra della Cina e molto, molto al di sopra di ogni altro Paese”.

Durante la guerra fredda il mondo era bipolare, definito dalla competizione tra USA e URSS; subito dopo esso è diventato unipolare, chiaramente dominato dagli Stati Uniti. Oggi molti pensano che il multipolarismo sia determinato dal potere di influenza, cioè la capacità di convincere altri a fare ciò che si vuole. Errore, esso si fonda su parametri oggettivi e misurabili: potenza militare e peso economico. Affinché il sistema sia realmente multipolare, il suo funzionamento deve essere modellato dai tre o più stati che si confrontano al suo vertice. Da questi punti di vista USA e Cina sono certamente al vertice. E poi? Francia, Germania, India, Giappone, Russia, UK, nessuno di essi è approssimativamente allo stesso livello. Se osserviamo i parametri di valutazione attuali, per quanto imperfetti, tutti i Paesi tranne l’India sono troppo piccoli in termini di popolazione, mentre l’India è troppo povera. Il PIL di ciascuno di essi è inferiore al 20% di quello americano. Peggio ancora in termini di spese militari, dove, a parte la Cina, il terzo Paese, UK, è inferiore al 10% rispetto agli USA.

Questi parametri di PIL e spese militari potrebbero far pensare a un bipolarismo. Prescindendo dal fatto che molti studiosi internazionali mettono in dubbio l’effettivo valore del PIL cinese, la forza militare della Cina è molto lontana da quella americana. Questi ultimi possiedono il “comando dei beni comuni” cioè il controllo dell’aria, del mare aperto e dello spazio. Fino a quando la Cina non sarà in grado di contestare tale dominio sarà semplicemente una potenza regionale. Gli autori dimostrano questi fatti confrontando le singole catogorie di armamenti ma ve le risparmio. Oggi possiamo dire che esiste un potere dominante e un sistema di alleanze dominante, non due. Tutto ciò non significa negare che i rapporti di potere siano cambiati. La Cina ha fatto molto per ridurre il divario in campo economico, ma ha fatto molto meno quando si tratta di capacità militare e soprattutto di tecnologia. Possiamo parlare di “unipolarità parziale” rispetto all’ “unipolarità totale” che esisteva dopo la guerra fredda. Anche se la Cina conquistasse Taiwan, l’equilibrio di potere rimarrebbe invariato e gli USA potrebbero certo sfruttare la rete di alleanze per “punire” la Cina distruggendone l’economia.

Inoltre, tutte le strutture internazionali sono state messe in piedi dagli Stati Uniti per congelare uno status-quo favorevole al loro sistema di potere. Questo sistema garantisce il migliore dei mondi possibili e l’America non dovrebbe ritirarsi nei propri confini in un impeto di isolazionismo. Esiste un grande bisogno di America. Essa dovrebbe occuparsi della sicurezza strategica lasciando agli alleati la responsabilità delle truppe sul terreno. Inoltre pur avendo dei benefici unici derivanti dal fatto di essere il leader dovrebbe goderne con moderazione e garantire agli alleati un accesso al mercato americano. Dovrebbero infine evitare di adoperare la forza militare americana al di fuori di Asia ed Europa.

La fotografia che viene data del mondo oggi è probabilmente realistica. La prospettiva futura che ne viene data, e soprattutto la sua soddisfatta accettazione è per me raggelante. Stiamo parlando in questa analisi di un mondo dominato da una sola potenza, che, accompagnato dai suoi alleati-vassalli usa la sua forza economica, militare e la sua capacità di imporre sanzioni ad-libitum per costringere all’ubbidienza il resto del mondo (oltre l’80% della popolazione). Inoltre, adopera le istituzioni internazionali per dare “un vestito di legalità” alle proprie decisioni.

No, non posso accettare un mondo di questo tipo e fortunatamente la mia età anagrafica mi consentirà di non vederne le conseguenze. Abbiamo lottato per alcuni secoli per una democrazia, uno stato di diritto, una libertà di pensiero. E poi? Neghiamo tutti questi principi che sono la base del nostro essere, della nostra stessa civiltà quando dobbiamo applicarli al di fuori del nostro Paese. No! No! No! Ogni abitante di questo mondo deve avere il diritto di vivere, di curarsi, di avere un lavoro, di non essere schiavo di nessuno. Sono convinto che il Sud del mondo prima o poi sfonderà i muri, prima metaforici e ora anche fisici, nei quali ci rinchiudiamo. Basta vedere quello in costruzione fra USA e Messico, quello che la Polonia, oggi beatificata, aveva costruito per far morire nella neve i profughi dall’Afghanistan, e le frontiere che stiamo erigendo in Europa per non far passare i malcapitati profughi che avventurosamente sono sbarcati sulle coste dell’Europa mediterranea. No, Uno tsunami di disperati che non hanno niente da perdere sfonderà i nostri muri e con la forza del loro numero si prenderà ciò che ostinatamente rifiutiamo di dar loro oggi, e che reclamano come un loro diritto per il fatto di essere.

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