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Internazionali

STATI UNITI E CINA, E NOI STIAMO A BLATERARE

STATI UNITI E CINA, E NOI STIAMO A BLATERARE

di Raffaele Romano

Sempre più presi da un provincialismo culturale ed una disattenzione totale l’Italia riesce a far peggio dell’Europa, il problema non è la giusta sostituzione del Di Maio agli esteri con qualcun altro. Il problema nostro è la totale e completa mancanza di “Weltanschauung” ovvero di una “visione del mondo” per poter recitare un minimo di ruolo internazionale e di influenza per tentare di difendere gli interessi nazionali. Infatti, piuttosto che una visione del mondo i nostri media hanno aizzato, pochi giorni fa, i pochi lettori a loro rimasti sperando che ci fosse l’accapigliamento materiale fra Meloni e Schlein. Un paese, la minuscola non è un errore, che ormai da tre decenni si dedica solo a queste cose potrebbe voler dire che è un paese finito?

Probabilmente sì! Infatti i temi veri come la produzione dei micro chip, avviare ricerche per il litio senza dimenticare le terre rare che, per chi non ne avesse ancora conoscenza, servono per creare magneti, fibre ottiche e batterie ricaricabili, cruciali nell’industria delle auto elettriche e ibride, ma anche per costruire le turbine eoliche e i pannelli solari. Costituiscono inoltre un elemento imprescindibile negli schermi di desktop e smartphone e sono insostituibili nella realizzazione di apparecchiature di medicina avanzata. Inoltre, sono largamente utilizzate anche nell’industria della difesa. Per cui, invece di progettare e poi programmare quali percorsi compiere nei prossimi 30 anni ci si accapiglia fra neo guelfi e neo ghibellini su ogni argomento mentre gli altri Paesi vanno avanti, e come.

Fra Stati Uniti e Cina è in corso uno scontro globale di cui qui nessuno si interessa per affermare la propria potenza nei prossimi decenni. E, piaccia o non piaccia a certi nostri sentimentali del politicamente corretti la realtà è molto più dura. Non si possono chiudere gli occhi di fronte alla preparazione dei due eserciti. I marines americani, per esempio, si stanno addestrando ad una guerra nella “prima catena di isole”, quella linea di isole che creano una barriera naturale per il passaggio navale della Cina nel Pacifico. La prima catena di isole inizia alle isole Curili e termina verso il Borneo e la parte settentrionale delle Filippine.

La strategia della catena di isole è una strategia militare statunitense, usata da John Foster Dulles nel 1951, durante la guerra di Corea. Questa strategia, riveduta e potenziata negli anni, è sempre valida e suggeriva di circondare l'Unione Sovietica e la Cina dal mare. Il tema della catena insulare non diventò mai un tema centrale nella politica statunitense durante la guerra fredda, soprattutto per la lungimiranza di Nixon e di Kissinger quando si formò un’alleanza di fatto tra Washington e Pechino in funzione antisovietica. Diventa, però, un punto di riferimento per la strategia navale statunitense dall'inizio del nuovo millennio, con la crescita della competizione fra Cina e USA.

I cinesi hanno sempre rivendicato Taiwan da quando le forze nazionaliste fuggirono dopo aver perso la guerra civile nel 1949. L’America ha da tempo promesso di aiutare Taiwan, ormai totalmente occidentalizzata, a difendersi. Negli ultimi anni, da entrambe le parti, la retorica e i preparativi di guerra sono diventati più febbrili. Le forze cinesi forzano la “linea mediana”, cioè il confine marittimo di Taiwan e infastidiscono i mezzi militari Usa e alleati stanziati. Taiwan da anni si trova al centro degli interessi strategico-militari ed economici sia della Cina che degli Stati Uniti.

Dal punto di vista geopolitico, infatti, l’isola consentirebbe alla Cina di aumentare la sua influenza militare sull’oceano Pacifico ottenendo il totale controllo dell’area, cosa che gli americani non possono permettersi di perdere. Passando ad analizzare gli aspetti geopolitici nel 2009, con Obama presidente, fu varato nel piano di rilancio USA il “Buy american”. A seguire la politica più memorabile dell’amministrazione Trump rimarrà la “guerra commerciale”, in particolare con la Cina, ma anche con l’Europa e l’Italia. Nel suo programma elettorale Biden affermò che “quando spendiamo il denaro dei contribuenti dobbiamo comprare prodotti americani e sostenere posti di lavoro americani”.

Senza dimenticare la vera e propria conquista dell’Africa da parte di Pechino una storia iniziata con l'allora primo ministro Zhou Enlai in diversi paesi africani tra il dicembre 1963 e il febbraio 1964. Il focus principale cinese è stato sulle infrastrutture e i trasporti. Alla fine del 2021, la Cina aveva costruito in Africa più di 10.000 chilometri di ferrovie e autostrade,100 porti e 1000 ponti, più di 80 centrali elettriche, oltre 130 strutture mediche, 45 stadi e 170 scuole. Questi investimenti hanno portato enormi vantaggi occupazionali e infrastrutturali, ma anche conseguenze dal punto di vista economico. In pochi anni solo il debito del Kenya nei confronti di Pechino è più che triplicato a ruota seguono molti altri Paesi del continente nero. Nel frattempo a Roma si guarda il dito e non alla luna.

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