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Internazionali

ANATOMIA DI UN CONFLITTO (Parte I)

ANATOMIA DI UN CONFLITTO (Parte I)

di Paolo Falconio*

"L'Occidente deve smettere di odiare se stesso" Benedetto XVI

Questo articolo nasce per cercare un equilibrio nell'analisi di questo conflitto e di contestualizzarlo nel complesso mondo in cui viviamo. Operazione non facile e nella quale sicuramente il lettore attento troverà carenze od omissioni, che tuttavia sono dovute alla forma di articolo per un quotidiano e non alla mala fede. Ulteriore esigenza è stata quella di tracciare una linea netta tra critiche al confitto e tendenza all'antiamericanismo. Una linea rossa che a mio parere non deve essere travalicata.

La Russia di Putin e la volontà di potenza

Dal 2014 , ossia quando Putin ha capito che l'America non aveva intenzione di considerare la Russia nelle determinazioni strategiche (rimase famosa la frase di Obama "la Russia? E' una potenza regionale"), l'attegiamento dello stesso Putin è cambiato e siccome trattasi di un sistema politico che ha accentrato molti poteri sull'uomo solo al comando, sono cambiate le politiche russe. La domanda che quindi ci si deve porre è il perché della postura americana che è stata trasversale ai governi (Repubblicani e Democratici) che si sono succeduti.

L'uomo Putin o Plato (sua denominazione in codice nel KGB - Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti) ha sempre vissuto il crollo della vecchia URSS (in russo СССР , traslitterato Sojuz Sovetskih Socialističeskih Respublik) come uno dei più grandi sbagli della storia. La ratio probabilmente risiede nel suo lungo incarico a Berlino prorio nel KGB (durò fino 1989 e poi fu rimpatriato). Da quel punto di osservazione la sua percezione della perestrojka di Michail Gorbačëv fu perciò distante e limitata, mentre assai più acuto fu da lui avvertito il senso della catastrofe del blocco sovietico e della stessa Unione Sovietica. Tornato nella propria città di origine, Putin fu uno dei principali collaboratori di Anatolij Sobčak, sindaco di San Pietroburgo, e per un certo tempo tra i politici più in vista della Russia postsovietica. Trasferitosi a Mosca nel 1996, fece una carriera brillante, entrando nell’amministrazione presidenziale e divenendo nel 1998 capo dell’FSB (Federal'naja služba bezopasnosti), il Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa. Questo fu il trampolino di lancio che lo ha portato ad essere l'uomo alla guida della Russia che tutti conosciamo. Inutile in questa sede ripercorrere i passi di questa ascesa, basterà dire che per la maggioranza dei russi, Putin è l'eroe che ha salvato la nazione, dopo gli anni bui di Gorbaciov e Eltsin, in cui la Russia non solo ha dovuto fronteggiare una terribile crisi economica, ma anche perdere il ruolo di superpotenza mondiale. Nel 2004, infatti, Putin fu rieletto presidente con più del 70% delle preferenze. In effetti, nei suoi otto anni di governo, l'economia russa si è ripresa, con un incremento del Prodotto Interno Lordo pari al 72%, così come sono aumentati gli stipendi, passando da una media di 80 dollari a 640.

Punto nodale della politica di Putin è il ritorno alla potenza e questo è un dato incontrovertibile.

Questo cammino è stato dapprima intrapreso in politica interna con la centralizzazione dei settori strategici dello Stato (energia , acciaio, etc…) a scapito degli oligarchi, un anello di distretti federali che ricalca l'organizzazione dei distretti militari, la sensibile riduzione delle autonomie dei paesi dell'ex Unione Sovietica e delle vaste province della Federazione, con l' accentramento del potere a Mosca che sfociò nell'abolizione dell'elezione diretta dei governatori regionali.

L'affermazione del ritorno della Russia a superpotenza, è stata apertamente dichiarata da Putin sin dal suo inizio e questo non solo per ragioni di consenso interne.

Il pragmatismo che ha caratterizzato la politica interna russa (Putin è un russo che conosce bene il suo popolo) è stata anche la linea che ha contraddistinto la politica estera. Con la consapevolezza dei limiti intrinsechi della realtà economica e militare della Russia odierna, il disegno di un mondo multipolare nel segno di un ritorno alla grande Russia, fu perseguito cercando di inserirsi nei meccanismi propri delle organizzazioni internazionali.

Le fibrillazioni con Washington, il cui avvicinamento c'era stato in occasione dell'attacco alle Twin Towers, si sono deteriorate nel corso del tempo e appunto sono dovute a questa prospettiva multipolare. La vera e propria rottura si ebbe nel rifiuto americano di accettare la Russia nel WTO (mentre invece fu consentito alla Cina). Da questo momento l'atteggiamento russo antioccidentale fu un crescendo. Solo a titolo esemplificativo i passi principali verso questa politica si sono avuti in occasione della guerra con l'Iraq nel 2003, la cui opposizione da parte russa si è caratterizzata da un vero e proprio asse con la Francia e la Germania. Le continue denunce dell'intromissione americana nello spazio vitale russo in Caucaso e in Asia Centrale (entambi molto rilevanti in termini di risorse), nella difesa della Serbia nella crisi dei Balcani (l'allora ministro degli Esteri russo si fece un giro nelle capitali occidentali informandole che qualsiasi invasione di terra della Serbia avrebbe portato ad una guerra termonucleare e che per non sbagliare avevano già puntato i missili sulle capitali occidentali), nel continuo sostegno al programma nucleare iraniano… a fini civili, e molti altri episodi che mi è impossibile ripercorrere, tra i quali va certo rammentato l'insinuarsi della Russia stessa in varie aree del mondo (Libia, Sahel , etc..) attraverso la longa manus della Wagner che poi è sempre un'estensione del governo russo.

Il Problema Europa

Le affermazioni che l'interesse americano per l'Europa è scemato a vantaggio della sfera asiatica appartiene al mito delle bufale (al pari di big pharma ed ad altri miti contemporanei). In realtà l'Europa è considerata dagli Stati Uniti il più importante continente al mondo e ciò per varie ragioni tra le quali possiamo enumerare: è il mercato finale più ricco del mondo, vi è una popolazione con un altissimo know how, e comunque un'area che mantiene il primato culturale. Tutti questi fattori rendono il nostro continente un sorvegliato speciale e soprattutto lo è la Germania.

I rapporti tra Germania e America, fin dalla fine del secondo conflitto mondiale, sono stati caratterizzati da una reciproca diffidenza.

Per parte americana, questa diffidenza, trova la sua ratio nei due conflitti mondiali imputati primcipalmente alla Nazione teutonica e che comunque constrinsero un'America non interventista a sopportare il peso maggiore delle due guerre (ufficialmente non esiste un vero e proprio trattato di pace con la Germania anche se poi sono intervenuti altri accordi).

Anche su twitter vengono trasmesse le audizioni al congresso e negli anni scorsi il tema della tenuta dell'alleanza atlantica che è stato più volte affrontato. Sebbene siano sempre state fornite risposte rassicuranti, appare percepibile la preoccupazione circa la fedeltà degli alleati europei.

In una sorta di autismo politico, la politica estera tedesca nei confronti della Russia di Putin, è stata  improntata ad una riproposizione della vecchia Ostpolitik elevata alla potenza e, incurante delle preoccupazioni europee e statunitensi, ha voluto riproporre l'intrinseco legame politico economico e persino militare che fin dal 700 ha caratterizzato i rapporti tra Germania e Russia, dove la Nazione Tedesca è sempre stata l'elemento di modernizzazione dell'impero russo. Un legame che l'ha resa poco credibile sul piano internazionale, rispetto ai rapporti con gli Stati Uniti e la NATO e più in generale sulla “tenuta” della linea atlantista.

Un qualcosa che ha interessato persino noi europei ed è storia recente la teorizzazione di una Europa a due velocità che vedeva la Germania con i paesi nordici, il cui asse strategico era l'est Europa e la Russia (un incubo per quelle nazioni che si trovavano nel mezzo). Inutile sottolineare che vi sarebbero state conseguenze enormi anche per il resto dell'Europa Occidentale e la Germania non faceva mistero dello scarso interesse per la deriva che avrebbe investito i Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. Per quanto attiene il nord est italiano sarebbe sempre più divenuto ancillare a questo asse euroasiatico e avrebbe subito una concorrenza sempre più aggressiva conseguente alla re industrializzazione dell'est europeo.

Il punto fondamentale è che la Germania stava realizzando un nuovo patto d'acciaio con la Russia, che possiamo riassumere nel matrimonio tra la tecnologia tedesca e le materie prime russe, del tutto incurante della crescente aggressività russa verso quell'alleanza di cui la Germania stessa è parte.

Mentre in Italia e in Francia, la Russia (e anche la Cina) ha messo in pratica vere e proprie forme di azioni destabilizzanti degli assetti geopolitici, attraverso fiumi di denaro (magari anche leciti), azioni cyber, attività di spionaggio, in Germania tutto ciò non è stata necessario, perché di fatto coincidente in larga parte con gli interessi tedeschi sordi a qualsiasi richiamo degli alleati.

Se in Italia il Governo Draghi (eredità poi raccolta meritevolmente dal Governo Meloni e la continuità di governo soprattutto in politica estera è un valore) di fatto ha costituito un riallineamento con la linea atlantica rendendosi garante della stessa in ambito europeo (così i più capiranno l'assertività del governo attuale sull'Ucraina), altrettanto non è avvenuto in Germania e neppure questo conflitto ha determinato un reale ripensamento di queste politiche. La Germania mantiene un atteggiamento ambiguo perché continua a sperare nella normalizzazione dei rapporti. Rapporti che potranno vedere un recupero della Russia soltanto se questa abbandonerà logiche  novecentesche da superpotenza.

ll riallineamento alla linea atlantica ha portato benefici all'Italia nei termini di un nuovo ruolo nel bacino del Mediterraneo (saremo l'hub energetico d'Europa, una rinnovata presenza militare nel mediterraneo e recupero di aree di influenza come ad es. nei Balcani e forse anche in Libia).

Mi auguro che i lettori non siano così ingenui da pensare che le azioni di Cina e Russia in tal senso fossero poste in essere nel nostro interesse, anzi i mandanti erano ben consapevoli che una eccessiva creatività in politica estera avrebbe avuto forti contraccolpi con gli Stati Uniti. Agli scettici  consiglierei di riflettere sulla Germania che è la vera sconfitta di questa guerra. Il paradosso è che quelle stesse nazioni che ci invitano ad una maggiore autonomia, in realtà cercano in tutti i modi di accreditarsi con gli Sati Uniti stessi.

Alla fine di questa disamina il punto fondamentale rispetto al paradigma geopolitico è che l'accordo Russia - Germania che si traduceva nello scambio di materie prime contro alta tecnologia non era e non è accettabile nel quadro di una alleanza che si deve confrontare con una Nazione, la Russia, che ha dichiarato e dimostrato nei fatti di volerla indebolire e scardinare dall'interno.

Per essere più chiari la ratio della guerra in Ucraina, che nelle intenzioni non doveva essere una guerra, sta proprio nell'esigenza di neutralizzare la nascita di un blocco euroasiatico tra Mosca e Berlino con elementi di contiguità con la Cina.

La guerra che non doveva essere una guerra

Se guardiamo la politica russa estremamente aggressiva a livello internazionale e soprattutto il tentativo di destabilizzare l'Europa e quindi il fulcro della NATO , si comprende perché anche l'atteggiamento degli apparati e dell'amministrazione americana sia mutato rispetto alla questione ucraina. Se per un lungo periodo tutti, compreso lo stesso Presidente Biden, si erano espressi a favore di una Ucraina neutrale e quindi garantire alla Russia uno Stato cuscinetto rispetto ai suoi confini, dal 2014 questa determinazione viene meno e gli USA iniziano una penetrazione a tutto campo nel tessuto sociale ed economico del territorio ucraino, consci che la Russia avrebbe reagito. Una reazione scontata in quanto l'Ucraina insiste nella pianura Sarmatica che è stata sempre fondamentale per respingere le offensive provenienti da Occidente. Durante la seconda guerra mondiale molte località del Dombass (avevano un diverso nome) sono state teatro di grandi battaglie.

Quando la situazione è divenuta esplosiva con l'ammassamento di truppe russe al confine ucraino, gli americani e tutti gli analisti erano convinti non solo che l'attacco ci sarebbe stato, ma che i russi sarebbero arrivati a Kiev in quattro giorni. Quanto sopra è evidente se si pensa al volo speciale offerto al Presidente Zelensky per portarlo negli Stati Uniti. Risultato, si sarebbero messe in piedi tutte quelle sanzioni che oggi vediamo e che avrebbero interrotto i rapporti con l'occidente e soprattutto con la Gemania.

Il cortocircuito rispetto allo scenario sopra indicato è stata la volontà degli ucraini di difendersi e lo fanno talmente bene che il costo in termini di perdite umane per gli aggressori è talmente alto da far ripensare ai russi gli obiettivi minimi della loro "operazione speciale", peraltro in larga parte già raggiunti (buona parte del Donbass, corridoio terreste con la Crimea, controllo del Mar Nero).  (continua domani)

*Membro della "Faculty" dell'Università Luiss Guido Carli

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