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Politica

LA MARCIA SU ROMA DEL “CONTE” INGLESE BENITO MUSSOLINI

LA MARCIA SU ROMA DEL “CONTE” INGLESE BENITO MUSSOLINI

Oggi si riflette sul centenario della marcia inglese su Roma.

Marcia inglese?

Si, inglese, perché dietro ai gagliardetti delle camicie nere c’era l’Union Jack.

La marcia iniziò il 26 ottobre, con Perugia come quartiere generale dell'iniziativa. Da qui i quadrumviri, nominati qualche giorno prima da Mussolini, coordinavano le operazioni. 

Il 27 ottobre circa ventimila camicie nere partirono da Santa Marinella, Tivoli, Monterotondo e dal Volturno e, requisendo convogli ferroviari, si diressero verso la capitale, difesa da 28.400 soldati.
L'obiettivo della marcia, capeggiata dai triumviri Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi, era estromettere l'allora capo del governo Luigi Facta e forzare la mano al re Vittorio Emanuele III per indurlo a consegnare il Paese nelle mani di Mussolini, incaricandolo di formare un nuovo governo.

Alle 6 del mattino del 28 ottobre il governo dichiarò lo stato d'assedio, ma il re (alle 8 e 30) si rifiutò di controfirmarlo e Luigi Facta si dimise: il Paese era senza governo (e fuori controllo). Mentre le camicie nere entravano nella capitale, minacciando di occupare i ministeri, Mussolini fu convocato dal re. Giungerà a Roma il 30 ottobre e solo allora il re gli conferirà ufficialmente l'incarico di formare un nuovo governo di coalizione.
Questi, nudi e crudi, i fatti, così come ci sono presentati dalla storia ufficiale.

La storia non ufficiale, ma ormai impossibile da eludere, è quella che ci viene narrata, sulla base di precisi documenti d’archivio da Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella nel loro: “Nero di Londra” (Chiarelettere).

In questa nuova versione della Marcia su Roma è necessario prendere atto che quello che sarà il duce del Fascismo era un agente inglese di sua maestà Giorgio V, nome in codice «The Count», reclutato dal tenente colonnello Samuel John Gurney Hoare, membro dell’Anti Socialist Union (Asu), uno dei centri dai quali sono nati molti movimenti anticomunisti e antisocialisti nei vari paesi d’Europa.

Dietro all’Asu ci sono i “Die Hard” (gli irriducibili), la parte di estrema destra del Tories. Fra i componenti del sodalizio troviamo Leopold Maxse, reporter e leader della Cambridge Union Society, “uno dei centri di influenza britannici più attivi non solo in patria ma anche, attraverso le sue reti ufficiali e occulte, in tutte le aree del globo in cui si concentrano gli interessi strategici del Regno Unito”. [1]

Della Cambridge Union Society ne hanno fatto parte, tra gli altri, Winston Churchill, Margareth Tatcher, Ronald Regan e ne fanno parte Nigel Farage e Boris Johnson.

La Cambridge Union Society, nota anche come Cambridge Union, è una società di confronto culturale ed è la più grande società dell’Università di Cambridge; fondata nel 1815, è la più antica società di dibattiti al mondo. 

L'Unione è una società privata con adesione aperta a tutti gli studenti dell'Università di Cambridge e di Anglia Ruskin University ed è un ente di beneficenza.

L’Unione di Cambridge ha una lunga e vasta tradizione nell'ospitare nella sua attività culturale figure di spicco di tutti i settori della vita pubblica, sia statali, sia internazionali, tra cui il Dalai Lama, Ronald Reagan, Bill Gates, Stephen Hawkins, Bernie Sanders.

Tra i presidenti dell’Unione troviamo l’autrice Arianna Huffington e l’economista John Maynard Keynes.

Torniamo a Mussolini.

L’interesse degli inglesi nei confronti del futuro duce del Fascismo era dovuto, durante la Prima guerra mondiale, al fatto che in Italia fosse necessario contrastare il pacifismo e coloro che volevano finire anzitempo la guerra con l’Austria, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto.

L’interesse degli inglesi per il futuro duce del Fascismo crebbe negli anni del dopoguerra e Benito Mussolini, dopo essere stato aiutato nelle sue attività giornalistiche e propagandistiche a favore della guerra, fu arruolato direttamente nei ranghi dell’intelligence britannica, con un supporto di 50 sterline mensili.

“Il futuro duce, dunque – scrivono Cereghino e Fasanella – [era] a tutti gli effetti nei ranghi dell’intelligence militare britannica”. [2]

“Nell’ottobre del 1918 «The Count», ovvero Benito Mussolini , l’agente che da Milano coordina giornali e propaganda – scrivono ancora Cereghino e Fasanella – ha già a disposizione «300 uomini armati», e non vede l’ora di passare all’azione”.

Nel 1919 Benito Mussolini, «The Count», fonda a Milano il movimento dei fasci italiani di combattimento nei locali degli industriali in piazza San Sepolcro.

E veniamo alla Marcia su Roma.

Alla vigilia del 28 ottobre 1922 i “vertici del movimento fascista si trovano a Perugia in attesa del segnale definitivo per marciare sulla capitale. E chi li ospita? Romeo Adriano Gallenga Stuart, il liberale umbro che […] è da anni un agente di Samuel Hoare”. [3]

Non solo, ma, scrivono Cereghino e Fasanella, “i servizi dell’intelligence e la diplomazia di sua maestà hanno seguito la Marcia su Roma in tempo reale, minuto per minuto, dispensando utili consigli a «The Count», ai capi delle forze armate, alla Guardia regia e, naturalmente, a Vittorio Emanuele III”. [4]

La marcia su Roma fu un colpo di Stato? Niente affatto. Vittorio Emanuele III era evidentemente d’accordo, altrimenti avrebbe potuto bloccare le camicie nere e impedire la nascita del Ventennio.

Il re italiano era d’accordo anche per un’altra verità storica, ossia che l’Unità del Paese fu opera ancora una volta di Albione.

Garibaldi non sarebbe mai sbarcato a Marsala se non ci fosse stata la marina inglese a proteggere lo sbarco, chiamata in causa da Cavour e l’eroe dei Due Mondi non avrebbe conquistato facilmente la Sicilia se dietro le quinte non ci fosse stata la mano accorta dei Florio, famiglia anglo siciliana.

La storia si ripeterà nel tempo e in altre circostanze.

Anche lo sbarco in Sicilia della Seconda guerra mondiale, preparato a Malta, vedrà inglesi e americani protagonisti di contatti con il mondo siciliano, da sempre in rapporto con l’anglosfera.

La marcia su Roma, pertanto, più che la conquista della destra fascista italiana del potere, fu la presa del potere da parte di un agente degli inglesi in assoluta continuità con la presenza inglese sulla Penisola, considerata da Albione come una sorta di portaerei naturale e di base navale a disposizione degli interessi inglesi.

In questo quadro è forse comprensibile anche la fine di Mussolini, sconfessato dal Gran Consiglio in gran parte controllato dagli inglesi e poi eliminato dagli stessi inglesi, come sostiene Luciano Garibaldi, nel suo: “La pista inglese”.

“Secondo la versione fornita dal Partito comunista molto tempo dopo i fatti (perché non subito?) il dittatore e la sua amante – scrive Luciano Garibaldi - furono «giustiziati» dal «colonnello Valerio» (il ragionier Walter Audisio, di Alessandria, un oscuro apparatnicki del partito) nel pomeriggio del 28 aprile 1945, poco dopo le ore 16, davanti al cancello di villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, Comune di Tremezzina, sul lago di Como”. [5]

Per Luciano Garibaldi la versione ufficiale fa acqua da tutte le parti e il giornalista de La Notte mette in fila le varie versioni e le numerose ricostruzioni e si pone la domanda che riguarda un fatto chiaramente inquietante: “L’autopsia della Petacci non fu eseguita: avrebbe rivelato che la morte era stata causata da due proiettili calibro 9, come risultò nel 1957, anno in cui furono esumati i resti di Claretta. Com’era possibile, se «Valerio» aveva sparato con un mitra Mas calibro 7,65? Il calibro 9 era invece quello delle Colt usate anche dagli agenti britannici della Special Force”.[6]

L’ipotesi di Garibaldi, ampiamente condivisa da molti ricercatori, è che gli agenti britannici avrebbero «battuto sul tempo» quelli sovietici, ossia i partigiani comunisti, per far tacere due voci scomode, quelle del Duce e della sua amante, e impadronirsi del compromettente carteggio Mussolini-Churchill.

Nel suo libro, denso di particolari, Luciano Garibaldi riporta un’ampia descrizione di come Mussolini sarebbe stato la “voce” di Churchill presso Hitler per convincerlo a rivolgere la sua attenzione contro Stalin e non contro gli inglesi. Garibaldi parla di incontri con segreti sui laghi del Nord Italia, con un Mussolini in piena azione e, a questo punto e alla luce di quanto scrivono Cereghino e Fasanella, da membro dell’intelligence britannica, mai smontato davvero dal servizio.

Dei tentativi di Mussolini di convincere Hitler a cambiare strategia Garibaldi pubblica anche i documenti di Karl Wolff, ex comandante delle Ss tedesche in Italia.

Quei documenti, scrive Garibaldi, “sono di un interesse straordinario. Strepitoso. Nel senso che lasciano ben presumere che il «fantomatico» carteggio Mussolini-Churchill non era affatto fantomatico; che il rapporto segreto tra i due uomini politici (Mussolini e Churchill) continuava, e continuò fino agli ultimi giorni di vita del Duce; che Mussolini era praticamente il «portavoce» di Churchill presso Hitler; che Churchill fece fino all’ultimo il possibile e l’impossibile per distogliere Hitler, con la collaborazione di Mussolini, dall’impegno sul fronte occidentale, onde parare, tutti insieme (italiani, tedeschi, inglesi, e – verosimilmente – francesi) la valanga comunista che avanzava da Est”. [7]

Fallito ogni tentativo di mediazione, ormai con gli americani alle porte, i quali non volevano eliminare Mussolini, ma farlo prigioniero, gli inglesi avrebbero preferito eliminare il loro agente e tutte le prove ad esso connesse (la famosa documentazione sparita a Dongo), per evitare un pasticcio internazionale che avrebbe potuto far saltare gli accordi con Stalin e con gli stessi americani.

Mussolini e Claretta Petacci, scomoda testimone, sarebbero pertanto stati uccisi, nella mattinata del 28 aprile, da agenti britannici della Special Force, i quali avrebbero poi lasciato ben volentieri ai comunisti il merito.

Luciano Garibaldi narra di una testimonianza, che riproduce poi per intero nel suo libro: quella di Bruno Giovanni Lonati, “un ex partigiano (anzi, ex comandante di brigate garibaldine) residente a Brescia, il quale, nel suo libro Mussolini e Claretta: la verità (Milano, 1994), si propose come il «giustiziere» del Duce, su disposizioni ricevute da un agente segreto britannico, il misterioso «capitano John». Quest’ultimo, a sua volta, avrebbe personalmente provveduto a sopprimere Claretta Petacci. L’ordine? Direttamente da Winston Churchill, sia per rientrare in possesso del famoso carteggio, sia per tappare la bocca alla coppia che, interrogata dagli americani, avrebbe di certo spifferato tutti gli accordi (in quel momento assolutamente inconfessabili) intercorsi tra il premier britannico e il Duce fascista, per cercare di volgere Hitler contro la Russia di Stalin”.[8]

Alla luce delle ricerche di Cereghino e Fasanella la Marcia su Roma sembra essere una tragica intromissione inglese nei destini della Penisola, attuata tramite un loro agente, «The Count», ossia Benito Mussolini, alla fine del servizio terminato per eliminare ogni possibile connessione imbarazzante per un dopoguerra che si stava annunciando, dove Churchill avrebbe dovuto sedersi con Stalin e con Roosevelt per decidere i nuovi equilibri.

A cento anni dall’evento che segnò i destini d’Italia e la condusse a vivere una tragedia, stando alle ricerche prodotte da “Nero di Londra”, anche la storia del fascismo andrebbe riscritta in chiave inglese, a tutto beneficio della verità.

 

[1] Mario José Cereghino – Giovanni Fasanella, Nero di Londra, Chiarelettere

[2] Mario José Cereghino – Giovanni Fasanella, Nero di Londra, Chiarelettere

[3] Mario José Cereghino – Giovanni Fasanella, Nero di Londra, Chiarelettere

[4] Mario José Cereghino – Giovanni Fasanella, Nero di Londra, Chiarelettere

[5] Luciano Garibaldi, La pista inglese – Chi uccise Mussolini e la Petacci – Nuova Edizioni

[6] Luciano Garibaldi, La pista inglese – Chi uccise Mussolini e la Petacci – Nuova Edizioni

[7] Luciano Garibaldi, La pista inglese – Chi uccise Mussolini e la Petacci – Nuova Edizioni

[8] Luciano Garibaldi, La pista inglese – Chi uccise Mussolini e la Petacci – Nuova Edizioni

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