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Politica

IL CATTOCOMUNISMO E I CINESI D’ITALIA

IL CATTOCOMUNISMO E I CINESI D’ITALIA

Il velo di Maya si sta lacerando.

La realtà esce allo scoperto in tutta la sua drammaticità e con la realtà emergono i volti tragici dei protagonisti di un trentennio di politica disastrosa che ha messo in ginocchio il Bel Paese.

La matrice del disastro è il cattocomunismo, ossia l’intreccio tra la sinistra democristiana e i diessini: tra le schegge della disfatta della Prima Repubblica, operata da Tangentopoli e della fine della Dc e del Pci.

Caduto il muro di Berlino (1989) e finita l’Unione Sovietica (1991), con la svolta della Bolognina, operata da Achille Occhetto, iniziò quel processo politico che dal 12 novembre 1989, giorno dell'annuncio della svolta al rione Bolognina (Bologna), portò il 3 febbraio 1991 allo scioglimento del Partito Comunista Italiano e alla sua confluenza nel Pds (Partito Democratico della Sinistra).

Il 23 giugno 1993 al Giornale Radio 2, Mino Martinazzoli, segretario della Dc, azzardò l'idea di un nuovo partito da chiamare Centro Popolare. Il partito reagì male e il 25 giugno, alla riunione della Direzione Nazionale, Martinazzoli smentì di voler sciogliere la DC e si dimise da segretario. Le sue dimissioni furono respinte all'unanimità e la Direzione Nazionale accordò nuovamente la fiducia sul progetto di rinnovamento della DC. Il 10 luglio la segretaria regionale del Veneto, Rosy Bindi, insieme a tutta la DC veneta, chiese da Abano Terme «una nuova formazione politica, democratica e popolare».

Circa due settimane dopo, a Roma si tenne l'Assemblea programmatica costituente (23-26 luglio), nella quale Martinazzoli lanciò l'idea di aprire la «terza fase storica della tradizione cattolico-democratica» con «un partito nazionale di programma, fondato sul valore cristiano della solidarietà» da chiamare «Partito Popolare». L'Assemblea concluse i suoi lavori approvando un documento politico che dava un pieno mandato di fiducia a Martinazzoli di costruire un Partito Popolare sulle ceneri della DC. Un mese dopo l'Assemblea programmatica, Martinazzoli fissò il mese di gennaio 1994 come data di fondazione del Partito Popolare.

Il Partito socialista concluse la sua vicenda nel 1994, travolto dalle inchieste di Mani Pulite e dall’esilio di Bettino Craxi.

Dal 1995 al 2004 i partiti che erano sorti dalle ceneri della Dc e del Pci confluirono in un’alleanza elettorale che, nel 2005, per iniziativa di Romano Prodi e di Massimo D’Alema divenne “Uniti nell’Ulivo”.

Il raggruppamento ulivista è stato al governo negli anni 1996-2001 (governi Prodi I, D’Alema I, D’Alema II e Amato II) e dal 2006al 2008 (governo Prodi II).

Sulla "radice" dell'Ulivo è sorto il 14 ottobre 2007 il Partito Democratico, ossia il partito cattocomunista.

Il cattocomunismo non è riferibile ai comunisti e ai cattolici e nemmeno ai democristiani, in quanto, sia gli uni che gli altri, dopo la fine dei partito della Prima Repubblica, hanno preso strade diverse. Il cattocomunismo è il frutto del mondo democristiano di sinistra e di quella parte dei comunisti che in seguito Luigi Bersani denominò la “Ditta”.

Se vogliamo introdurre un’allegoria, è come se Peppone (travestito da cardinale) e Don Camillo (con il colbacco del compagno sovietico) si fossero messi a creare una nuova pittura rosata per dipingere con un solo colore il campanile di Brescello. Peppone ha sicuramente pensato di aver condizionato Don Camillo, ma come insegna Guareschi e come si vede bene nei film nati dalla sua opera, chi comanda davvero è il prete impersonato da Fernandel, mentre al Capo dei comunisti, impersonato da Gino Cervi, non rimane che abbozzare.

E’ andata così anche per l’Ulivo e per il Pd e non a caso il democristiano Matteo Renzi ha fatto saltare i nervi a Bersani e D’Alema, che hanno dato vita ad Articolo 1.

E così, seguendo Guareschi, siamo arrivati alla puntata odierna, che vede D’Alema dichiarare il rientro del Pd, per tentare di condizionarne i prossimi passaggi, a cominciare dall’elezione del Presidente della Repubblica. Sia detto per inciso, se fosse Giuliano Amato, saremmo di nuovo in perfetta continuità ulivista.

L’ex comunista D’Alema non ha bussato, ma ha semplicemente detto che ritorna, così come fa un padrone di casa o chi, quanto meno, si sente tale.

Ovviamente l’attuale padrone di casa, il democristiano Enrico Letta, ha risposto irritato e il democristiano Matteo Renzi ha fatto gli auguri a D’Alema-Peppone e ai suoi compagni, che dalla Casa del Popolo di Articolo 1, tentano di tornare nella Casa comune, quella rosata dipinta durante il connubio Peppone-D’Alema e Don Camillo-Prodi, poi rivelatasi dipinta di giallo-rosso. Sulla facciata della Casa rosata (giallo-rossa, in verità) campeggia l’Ulivo, ma la compagine che ha governato, a vario titolo, l’Italia negli ultimi trent’anni sta rivelando la sua realtà tragica, con la caduta progressiva del velo di Maya.

Nell’Italia-Brescello le nebbie si diradano. Il rosa scolorisce e lascia emergere il giallo-rosso cinese.

D’Alema deve entrare in campo direttamente, per il fatto che, con la fine del mandato di Sergio Mattarella, viene meno la protezione dei colonnelli imposti nel Governo Conte II e anche in quello Draghi, a cominciare da Roberto Speranza, che comanda il compound sanitario, uno dei centri di potere più importanti grazie alla pandemia.

Dietro i velami della politica interna era nascosto il vero obbiettivo del cattocomunismo: il passaggio del Bel Paese dall’influenza americana a quella cinese.

D’Alema, nostalgico dell’Unione Sovietica, ha recentemente dichiarato il suo amore per la Cina di Xi Jinping.

Romano Prodi, che ha sempre considerato la Cina con lo stesso amore, ha detto, in occasione dela ventennale dell’Euro: “Riteniamo l'euro soltanto un fatto di rilevanza economica. Guardate però che è un fatto di rilevanza politica perché l'Europa con una moneta unica ha una forza enormemente più grande nel mondo. Quando si preparava l'euro – ha rivelato l'ex premier ulivista su Rai Radio1 - e avevo degli incontri con i presidenti cinesi, quelli non chiedevano altro che dell'euro. Del resto, non gli interessava praticamente niente. Dicevano: «Noi vogliamo l'euro perché se accanto al dollaro c'è l'euro, allora ci sarà posto anche per la nostra moneta». Così si capisce il concetto politico di pluralismo della gestione del mondo che stava dietro l'introduzione dell'euro. Non era mica solo il giochino dei banchieri come qualche stupidotto ha definito l'euro – ha sottolineato Prodi -. Era il grande inizio del cambiamento del mondo. Che poi è avvenuto a metà perché con la grande crisi l'euro ha faticato ad espandersi, ma adesso ha ripreso. E veramente accanto al dollaro comincia ad esserci un euro con un suo ruolo, non ancora paragonabile a quello del dollaro, ma certamente importante”.

La questione, come l’ha squadernata papale papale Romano Prodi, è geopolitica e riguarda l’allontanamento dell’Italia e dell’Europa dall’influenza americana, favorendo così la potenza cinese, oggi più che mai motivata a diventare la potenza egemone nel mondo.

Sul palcoscenico della politica si scoprono le carte e, guarda caso, i cattocomunisti sono associati da un unico vero amore: la Cina.

Tramontata l’Unione Sovietica il cattocomunismo ha rivolto le sue speranze nell’impero cinese, ossia in una dittatura, interpretando le nostalgie dei comunisti della Ditta e gli afflati democristiani alla Vittorino Colombo.

In questo amore per la Cina, il cattocomunismo ha sposato costantemente le posizioni del IV Reich della signora Merkel, che in Cina ha delocalizzato e che con la Cina ha stretto un rapporto che avrebbe potuto portare l’intera Europa sotto le ali del Dragone.

Trova perfetta collocazione, in questo quadro, il commissariamento del Paese voluto da Giorgio Napolitano con l’insediamento di Mario Monti. Commissariamento che è proseguito dal 2011 ad oggi, nonostante la volontà degli italiani di mandare a casa il Pd.

Le elezioni del 2018, infatti, hanno premiato sia il centro destra, sia il M5S che aveva chiesto il voto agli italiani per mandare a casa Gentiloni e il Pd.

Anche in questo caso, visto come sono andate le cose, la caduta del velo di Maya ha svelato la verità sottostante: il M5S era ed è diretto da menti filocinesi. Grillo ha più volte ribadito la sua preferenza per la Cina, indicandola, anche recentemente, come l’orizzonte di splendore socialista (sic!) al quale guarderebbero i giovani. Giuseppe Conte, educato a Villa Nazareth, dove insegnava Pietro Parolin, è un perfetto interprete degli afflati cinesi di papa Francesco e del Vaticano.

Caduta la maschera del movimento che voleva riformare il Paese bloccato dalla burocrazia e dalla casta, il M5S si è mostrato per quello che è: un movimento filo cinese.

Da qui l’idea, ancora una volta del Pd, della grande alleanza giallo rossa: due colori che con qualche stella sono perfettamente in linea con la bandiera del Dragone.

La nuova Casa del Popolo cattocomunista è dunque dipinta in giallo rosso e la caduta dei veli la evidenzia in tutta la sua realtà.

Venuta meno la Merkel, con la Cina in rotta di collisione con gli Usa, il cattocomunismo è ora costretto a mostrarsi in tutta la sua realtà e a chiudere la fase delle ipocrisie e delle finzioni.

Crolla anche il sistema della propaganda.

Il sequestro preventivo di 38 milioni di euro ordinato dalla Procura di Roma nei confronti del Gruppo Gedi, mette alla scoperto un disastro protettivo che ha prodotto una stampa di regime e un buco nero nel fondo pensione dei giornalisti che interessa, ovviamente, sia la vecchia proprietà, guarda caso amante dell’Ulivo, sia la nuova e che mette a nudo anche l’ultima manovra protettiva: il passaggio del buco nero Inpgi all’Inps.

Il cattocomunismo è nudo? Non ancora. Ci sono molti veli rimasti a coprire un sistema di potere che Luca Palamara ha squadernato nel suo libro intervista riguardante la magistratura.

Ci sono molti veli da togliere ad un sistema che ha prostrato il Paese e che continua a farlo, nonostante l’arrivo di Mario Draghi, che pare immobilizzato dal compound a direzione di Roberto Speranza, ossia di D’Alema.

Nel gioco cinese forbice-carta-sasso, la forbice ha lacerato la carta, evidenziando cosa c’era e c’è dietro le quinte. Il sasso, ossia il rullo compressore cattocomunista, pare essere in difficoltà, essendo dovuto uscire dalle finzioni e dalle ipocrisie trentennali, per evidenziarsi per quello che è.

La forbice potrà andare avanti a tagliare? Vedremo. Dipende anche da quanto il centro destra non si farà incartare in logiche trasversali lettiane, in formule ursule, in giochi di prestigio e da quanto gli italiani sapranno uscire dal gioco perverso del “si vax – no vax” da psycological operation.

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