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Economia

REALTA' E POLISEMI DEL SAPERE, CI VUOLE UN NUOVO UMANESIMO

REALTA' E POLISEMI DEL SAPERE, CI VUOLE UN NUOVO UMANESIMO

Realtà e polisemia del sapere

Facciamo un bagno di realismo con il noto economista Nouriel Rubini che ha rilasciato un’intervista durante la 34^ edizione de "Lo Scenario dell'Economia e della Finanza" (31 marzo e 1° aprile 2023) organizzato da Ambrosetti a Cernobbio[1].

Viviamo un tempo di incertezza senza precedenti, di volatilità e di caos.

Dopo tre decadi di “grande moderazione” (bassa inflazione, oro stabile, quotazioni crescenti di titoli rischiosi americani e globali, come anche delle obbligazioni grazie al diminuire del tasso di sconto) stiamo entrando in un’era di “grande stagflazione” accompagnata da instabilità finanziaria e del debito, e da rischi non economici. Una situazione che richiederebbe un approccio olistico.

Tre anni fa preoccupava il tasso di sconto troppo basso o negativo, l’inflazione troppo bassa, la stagnazione, l’eccesso di risparmi e la bassa domanda, e si criticava l’eccesso di globalizzazione.

La natura delle minacce economiche e monetarie di oggi sono molto diverse da quelle di tre anni fa.

Oggi abbiamo stagflazione, recessione e crescente disoccupazione che dipendono dagli aggregati negativi portati dagli shock nella catena degli approvvigionamenti, un debito pubblico e privato crescente oltre ogni precedente record con alto rischio di fallimento per Stati e privati, la de-globalizzazione, il protezionismo, il decoupling, la frammentazione dell’economia mondiale, la balcanizzazione delle catene di fornitura globali, si vuole il “commercio sicuro” invece del mercato libero e aperto (free trade), si adottano misure di friend-shoring e reshoring invece di offshoring, il just-in-time è sostituito dal “just-in-case”, e si guarda più alla sicurezza invece che all’efficienza del commercio.

Negli anni passati l’eccesso di liquidità ha favorito la creazione di varie bolle nei differenti settori di investimento. Oggi si vedono i segnali di esplosione delle bolle sia negli investimenti sia nel credito, portando in rapida discesa le quotazioni di tutti gli investimenti a rischio.

Il rialzo dei tassi obbligazionari crea enormi problemi (+ interessi = - valore nominale) che si traducono in enormi perdite (20 trilioni in US, 18 trilioni in UE e Giappone) creando problemi per i bilanci delle banche e di altri operatori finanziari, soprattutto se detentori di obbligazioni di lunga durata in dollari o euro. Molte di queste obbligazioni sono state “nascoste” in altre istituzioni che le hanno comprate (assicurazioni, fondi pensione, ecc…).

La natura del pericolo è molto diversa da tre anni fa. Oggi ci sono anche fattori geopolitici che hanno pesanti conseguenze: la guerra in Ucraina può diventare non convenzionale con il coinvolgimento diretto della Nato; la guerra fredda Cina-US rischia di diventare calda; Israele sta valutando se la minaccia nucleare iraniana debba essere risolta con un attacco militare che porterebbe il prezzo del barile a livelli mai toccati neppure nel ’73 o nel ’79.

Il cambiamento climatico sta diventando un disastro reale per molti paesi nel mondo. Le illusioni utopiche sul green e la transizione verde si sono tradotte in scelte governative vacue (green washing e green wishing) accompagnate solo da retorica senza azioni concrete ed efficaci. D’altra parte, lo stock maggiore e di più lunga durata che ha causato il cambiamento climatico è dei paesi dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti (100 imprese, quasi tutte occidentali, sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni di CO2) che ora intendono dettare al mondo le loro regole ambientali. Il resto del mondo non ha alcuna intenzione di essere retrocesso a livelli di sottosviluppo precedenti alla globalizzazione (voluta anch’essa dagli stessi paesi responsabili storicamente del cambiamento climatico). Non si tratta di egoismi ma di buon senso e di sopravvivenza di miliardi di persone: circa 1.5 miliardi nei paesi altamente sviluppati e con alti redditi a fronte di oltre 7 miliardi di persone nel resto del mondo. Il resto del mondo non si oppone a compiere le scelte necessarie e concordabili ma chiede una compensazione per il mancato sviluppo socioeconomico che ciò comporterebbe: il costo di compensazione per attuare le riforme ambientali immaginate nelle varie conferenze internazionali è nell’ordine di vari trilioni all’anno per molti anni. Sia gli Stati Uniti sia l’UE hanno approvato rispettivamente risibili budget di 4 miliardi all’anno! Il resto del mondo vede anche che per la sola guerra in Ucraina, in un anno l’Occidente ha speso cumulativamente circa 1 trilione di dollari e si appresta a spenderne altrettanti per la ricostruzione del paese. Inoltre, il resto del mondo vede che il debito pubblico degli Stati Uniti ha raggiunto i 31 trilioni di dollari e che la spesa annuale per la difesa si avvicina a 1 trilione. Se a questo si aggiungono tutte le restrizioni commerciali e le sanzioni che l’Occidente impone al resto del mondo non è difficile capire perché le riforme globali necessarie per ridurre il cambiamento climatico sono destinate a fallire.

La crisi pandemica da Covid-19 è stata contenuta ma non è finita (solo nell’UE si stima che più di 20 milioni di persone soffrono le conseguenze del long-Covid). Intanto, altre pandemie è credibile che stiano per emergere, probabilmente un’epidemia di influenza aviaria (bird flu). Questa è l’opinione di scienziati che vedono l’evoluzione molto negativa del cambiamento climatico, dell’innalzamento delle temperature che causa lo scongelamento dei ghiacciai (defrost) e della tundra in Siberia che rilascerà enormi quantità di Co2, la riapparizione di virus e batteri tornati vivi ma a noi totalmente ignoti, e il progressivo avvicinamento alle zone abitate dagli esseri umani di animali selvatici portatori di patogeni. Gli scienziati sono convinti che la difficoltà è solo capire quando ciò avverrà. Che avverrà ne sono certi.

Lo sviluppo incontrollato delle intelligenze artificiali (IA) in una pluralità di settori porterà senza dubbio a una disoccupazione tecnica permanente multi-settoriale, aumenterà l’ineguaglianza dei redditi, e porterà a nuove guerre basate su tecnologie e AI, come già sta avvenendo in Ucraina.

Questa situazione odierna si traduce politicamente in uno scontro, da un lato, tra il capitalismo democratico (liberaldemocrazia) e i radicalismi populisti di estrema destra e sinistra che tenderanno a esternalizzare sempre di più i conflitti interni, e dall’altro, in uno scontro tra l’Occidente e il resto del mondo che ne contesta egemonia e regole.

Si parla apertamente di policrisi o mega minacce, cioè minacce economiche e non economiche che interagiscono tra loro. Il FMI ha tenuto una “Conferenza delle calamità” e la BCE parla di permacrisi.

La politica è ingabbiata nelle sue diatribe nazionali e non affronta la realtà dei problemi, preferendo eluderli o spostare l’incombenza ai successori. La contrapposizione tra giovani e anziani diventa sempre più acuta, con i primi che vivono con enorme ansia il presente e con terrore il futuro che non si prospetta per loro accogliente. Il divario ricchezza – povertà continua ad accrescersi favorendo la polarizzazione sociale e politica che è interpretata dai vari populismi di destra e di sinistra. Ciò crea condizioni altamente disfunzionali nelle democrazie, ma preoccupa anche le autocrazie che non possono permettersi rivolte popolari.

Le banche centrali hanno a disposizione solo due strumenti: politica monetaria e liquidità per sostenere la stabilità finanziaria. Strumenti spuntati se si vogliono raggiungere i tre obiettivi di stabilità dei prezzi, crescita economica e bassa disoccupazione. Per ora le banche centrali hanno usato in modo eterodosso ma equilibrato entrambi gli strumenti allo stesso tempo – rialzo dei tassi, che la FED porterà verso il 6% e la BCE verso il 4-4.5%, e iniezioni di liquidità in varie forme e azioni - ma l’inflazione reale (core inflation) resta alta, trasferendosi nel settore dei servizi che rigenerano l’inflazione. Inoltre, l’inflazione potrebbe fare un balzo ulteriore se il prezzo delle commodities, dopo una non indicativa flessione, tornassero a salire a causa di problemi di approvvigionamento. Le banche centrali hanno un dilemma tra alzare i tassi ma frenare la crescita oppure moderare i rialzi dei tassi ma avere l’inflazione rafforzata dalle aspettative.

Nelle ultime settimane, il dilemma delle banche centrali è diventato un trilemma: si è aggiunta l’instabilità finanziaria. Se si alzano troppo i tassi il valore dei titoli obbligazionari si deteriora troppo danneggiando le banche (come si è visto), e incrementa la recessione facendo emergere più fallimenti e prestiti inesigibili. L’instabilità finanziaria è un problema che le banche centrali non possono risolvere perché non si tratta di interventi mirati a casi specifici, che sarebbero attuabili, ma di interventi a livello sistemico. Attualmente le crisi delle banche (Silicon Valley Bank e altre in US, Credit Suisse in Svizzera, Deutsche Bank in Germania) sono casi specifici e diversi, non generalizzabili, ma c’è un principio che vale per tutte: gli investimenti in obbligazioni hanno perso valore riducendo il capitale. Non sono disponibili dati su chi detiene le obbligazioni a lungo termine, e quindi è difficile prevedere chi subirà le perdite più gravi. Però una cosa è certa: qualcuno dovrà assorbire le perdite.

Confrontate con il livello di debito pubblico e privato le banche centrali non saranno capaci di ridurre l’inflazione per evitare il crash finanziario. Il debito in eccesso si può “cancellare” temporaneamente (un paio di anni, giustificando la decisione a causa dell’alta inflazione), ma quando riappare, l’inflazione esplode. Sarebbero misure utili solo a posporre il crash finanziario. Al punto in cui siamo, dice Rubini, tutte le scelte sono sbagliate: non resta che scegliere quale veleno assumere.

Esistono le soluzioni tecniche per affrontare questa dura realtà di policrisi. Il problema è che tutte le soluzioni implicano pesanti sacrifici. Se non si fa nulla, il disastro è sicuro. Nelle democrazie e nei sistemi autoritari, la legittimazione popolare impedisce di fare vere riforme a breve tempo. La fattibilità delle riforme è la vera questione che resta senza risposta. Inoltre, fare le riforme solo in un’area del mondo non serve a niente. Le minacce economiche e non economiche di oggi non hanno confini territoriali, non sono di destra o di sinistra, non sono più facili nelle democrazie o nelle autocrazie. In conclusione, dice Rubini, è inutile pensare a come il mondo “dovrebbe essere”. Si deve pensare a come “probabilmente sarà”. Il futuro distopico oggi sembra più credibile di quello desiderabile ed utopico.       

E’ in questo quadro realista che assume grande rilevanza il bell’articolo di Roberto Pecchioli “La questione della tecnica” pubblicato in queste pagine[2]. Seguono alcune mie riflessioni.

Siamo all’inizio di una transizione epocale che se governata può contribuire significativamente a migliorare la tremenda situazione finora descritta ma, se non governata, com’è attualmente, rischia di accelerare l’estinzione del genere umano. Il tema è la collocazione dell’essere umano nel mondo, il senso antropologico della sua esistenza in un contesto non più antropocentrico nel quale nuove soggettività, umane e non umane, dovranno convivere. “Un altro mondo” dove la realtà sensibile include quella artificiale, sovrapponendosi e ibridizzandosi, dove le strutture e le sovrastrutture sociali si scompongono e si ricompongono trasformando la politica, la democrazia e la geopolitica, dove all’individuo di matrice umanista si sostituiscono le mutazioni fluide della soggettività, e dove diventano labili i limiti tra l’umano, il post-umano e il trans-umano. Un mondo iperstorico nel quale, per la prima volta nella storia dell’umanità, il benessere dipende dalle tecnologie che avvolgono le nostre vite e il pianeta.  

Al giusto riferimento che fa Pecchioli al recupero del bisogno di senso della vita aggiungerei il senso di responsabilità dell'agire umano, che lui traccia nella distinzione scienza - tecnica. La scienza presuppone Sapienza, mentre la tecnica, per quanto di successo, nasce e resta un’applicazione della scienza al servizio dell’uomo. In quanto frutto della razionalità umana, la scienza è realizzazione teleologica e metafisica, e pertanto aperta e illimitata. La tecnica è “cosa” prometeica che come tale va governata ed “educata” dalla razionalità del sapere, quindi al servizio dell’uomo. E’ la differenza che passa tra la scienza di Galileo che ha valenza universale e teleologicamente interpretativa valida fino all’odierna astrofisica, e l’invenzione tecnica che ha permesso di costruire la ruota per sostituire i pattini di un carro. La ruota è rimasta tale, simile a se stessa. Continua a girare su un perno. In altri termini, chiedereste mai ad un robot aspirapolvere di stirarvi le camice? Sareste delusi perché l’attività di stirare una camicia richiede l’abilità di gestire le difficoltà. L’abilità di un manufatto tecnico può gestire, come avviene con gli attuali computer, la complessità, cioè enormi quantità di dati e/o informazioni, in un ambiente “normato”, quantificabile e de-limitato (inteso come spazio). Ma quella macchina tecnica, per quanto eccezionale, risulterà inutile se confrontata a risolvere le difficoltà a-nomale e illimitate che significa stirare una camicia.

Il pericolo odierno è che la tecnica (Techné, che in greco antico significava produrre, fabbricare, un’azione efficace, materiale o immateriale) da virtù umana intellettuale epistemica si immaginerebbe autonoma dall’umano. Addirittura, secondo i demiurghi della Silicon Valley la tecnica potrebbe sostituire l’essere umano svelando, così, la loro vera natura di meticci (μῆτις) dotati di intelligenza pratica che implica lo sfruttamento delle circostanze per ottenere vantaggi. E’ proprio questa caratteristica meticcia dei detentori della tecnica digitale che ha portato all'infantilizzazione e la ludicizzazione dell'essere e dei suoi atti fenomenologici, cioè a una regressione dell'umanità ad uno stadio preumano, antecedente all'affermazione cosciente del sé come agente relazionale, autonomo e razionale. Un vero attentato al concetto di individuo emerso nell’Umanesimo europeo.

La desertificazione metafisica indotta a partire dalla secolarizzazione della civiltà occidentale, soprattutto europea, completa il quadro di smarrimento e spiega la sofferenza umana e dell'umano incapace di pensare se stesso se non in chiave tecnologica, individualista, egoista, dipendente da forze teleologiche che non capisce e di cui ignora il progetto e la direzione. L’umano prigioniero di Dedalo?

Non credo che il pur necessario atto di opposizione e rigetto del dedalo tecnico sia sufficiente ad un recupero di senso. Sono convinto che il passato non ritorna più in forma uguale a ciò che è stato. Come realista critico, condivido, invece, la necessità di prendere atto capendo bene a che cosa siamo confrontati, senza illusioni luddiste o di salvezza metafisica. L'essenza umanista europea, che in modo diverso esiste nelle civiltà asiatiche ma non in quelle anglosassoni, dev’essere salvata per non soccombere ad Avatar sintetici. La tecnica sta re-ontologizzando l'umano e il mondo. La risposta deve essere, con la massima urgenza, di antropologizzare la tecnica. La tecnica è diventata strumento utilitaristico, egoistico, totalizzante in mano esclusiva di una piccola oligarchia di privati, in Occidente, o degli oligarchi del partito Stato, in Cina. Questi oligarchi stabiliscono, e impongono, anche le regole del gioco (tecno-normatività', etica, e persino morale). Oligarchie che potrebbero diventare convergenti (in parte già lo sono) stabilendo un nomos universale totalizzante in cui la sottomissione umana diventerebbe irreversibile. La risposta non è la guerra militare o commerciale, neppure è il divieto o le sanzioni. La risposta è l'esatto inverso. Un nuovo Umanesimo adatto e pensato per il presente, una metafisica nuova che ponga l'umano e il non umano (il papa direbbe il creato; un laico direbbe l’esistente essente) al centro dei processi, capace di capirli e controllarli per renderli utili per tutti, universalmente. Il neoliberalismo è stata l'ideologia più totalizzante del vecchio mondo storico. Ormai agonizzante, lascia la distopia economicista della quantificazione (valore) della vita. Questo ha permesso agli oligarchi della tecnica di privarci delle libertà, prima fra tutte del libero arbitrio.

Per reagire e imporre un nuovo Umanesimo serve un pensiero nuovo. La rimasticatura del vecchio non serve. Dio è morto per la seconda volta...

 

[1] https://www.youtube.com/watch?v=OKrZoIC-pHk

[2] https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/italia/cultura/11307-la-questione-della-tecnica-prima-parte.html

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