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Cronaca

I DIMENTICATI (reportage dall'Ucraina)

I DIMENTICATI (reportage dall'Ucraina)

di Marco Palombi

L’AUTOCOLONNA si è mossa verso Est poco dopo l’alba.

4 ambulanze, due furgoncini e qualche auto di supporto, tutti stipati di medicinali, apparecchiature mediche – specialmente pediatriche – e qualche derrata alimentare. Infermieri, paramedici, soccorritori, autisti soccorritori, e il sottoscritto con le sue macchine fotografiche ed un taccuino nero. Partecipavo come osservatore dell’Ordine Ospedaliero di San Lazzaro O.S.L.J. Gran Priorato d'Italia - Malta e come reporter.

Abbiamo attraversato il Friuli, in mezzo a fiere montagne verdi, l’Austria, e il suo traffico florido e veloce, la Monrovia, lasciando i suoi castelli nella luce rossa del sole calante, i laghetti e le chiese. Siamo entrati in Polonia, via via penetrando attraverso le sue nuove strade, tra industrie nuove di zecca e quartieri popolosi e croci lungo la via, e siamo arrivati a Rzeszów che erano le tre di notte.

Lì Padre Peter, degli Scolopi, ci ha accolto nel suo francese ottimista e sorridente, e ci ha indicato le nostre camerate (una per gli uomini e una per le donne), dove avremmo dormito - e russato fino a sfinire anche le vetrate policrome della grande chiesa lì accanto.

La mattina, dopo la colazione con aringhe in agrodolce, uova sode, cetrioli e salumi preparata da due famiglie di profughi ucraini – due donne incinta, un paio di signore dall’età indefinibile ed un padre di tanti figli – il Padre ha accompagnato il furgoncino che portava i volontari di Bitonto a cambiare la batteria che nel frattempo aveva ceduto, - ogni missione ha i suoi intoppi - e noi abbiamo continuato verso l’Orfanotrofio di Bojanów, della Caritas Diocesana (Ośrodek Rehabilitacyjno-Adaptacyjny Caritas Diecezji Sandomierskiej).

Lì abbiamo trovato 35 bambini, dai 2 ai 12 anni, che erano stati evacuati dall’orfanotrofio di Mariupol dal Battaglione Qsar. I nostri paramedici, Thomas, Chiara, e gli altri, hanno confermato che stavano fisicamente bene, magari solo qualcuno di loro un po’ anemico, ma generalmente bene.

Mentre scaricavamo le derrate e i medicinali, i Clown giocavano insieme ai piccoli, che sfrecciavano come rondini nel giardino e fra le casette, lanciati all’inseguimento dei palloncini colorati e delle bolle di sapone. Faceva finalmente caldo e c’erano risa ovunque.

Nel pomeriggio, ci siamo spostati al vicino Circolo della Caccia, insieme ai piccoli, per farli partecipare alla festa organizzata dalla cittadinanza, con tanto di balli e gonfiabili e carne di cervo alla griglia.

Mentre i Clown davano il meglio, i sanitari verificavano i piani per le evacuazioni.

Infatti la missione dei medici italiani presso l’Ospedale di Leopoli si era interrotta il giorno prima della partenza della colonna, e quindi nessuno avrebbe potuto fare il triage in loco dei pazienti da portare in emergenza in Italia. Fortunatamente l’Ospedale ha ottime connessioni internazionali, soprattutto in Lombardia, e molti dei piccoli pazienti già erano stati portati in salvo nelle settimane precedenti.

Nel mentre, si avvicina un uomo. E ci dice che a diversi chilometri da lì, verso il confine, c’era una struttura non ben definita, in difficoltà.

Con un piccolo manipolo di sanitari, due clown e due ambulanze, siamo partiti e ci siamo diretti, fra boschi e campi e postazioni militari, ad una trentina di km dal confine polacco-ucraino, a Krasnobród. Lì abbiamo seguito le indicazioni delle persone del luogo - i GPS non funzionavano e le comunicazioni erano spesso interrotte dai sistemi di protezione dei mezzi e delle installazioni militari - fino ad un vecchio sanatorio, trasformato in centro termale negli ultimi anni.

Parcheggiamo nel sentiero che costeggia il vecchio caseggiato, ed ecco che un volto sospettoso si affaccia alla porta della prima struttura, illuminata dal sole del tramonto che filtrava dal verde boschetto tutt’intorno.

Era una bambina di circa 11 anni, con i segni visibili di qualche problema neurologico. Si avvicina timida e curiosa, mentre anche altri iniziano ad uscire e a convergere verso le ambulanze.

Arriva una giovane donna, e ci saluta con un sorriso stanco. In ucraino ci da’ il benvenuto al centro. E inizia a raccontare la storia dei dimenticati.

A Pasqua, dei militari ucraini hanno prelevato con un pullman tutti gli ospiti del centro per disabili mentali di Snaminka, con tre delle assistenti / educatrici, e li hanno sfollati in quel posto, dicendo che sarebbero tornati dopo tre giorni a riprenderli e ad accompagnarli in un luogo più accogliente.

E non sono più tornati.

I ragazzi e le educatrici hanno aspettato ogni giorno, e ancora aspettano, mentre dormono tutti insieme su materassi poggiati in terra, nelle stanze del vecchio padiglione, mentre mangiano a turno nella sala/cucina, e mentre giocano tra di loro nell’ampio giardino che scende gentile e verde dal colonnato alla siepe di confine.

Aspettano, insieme alle persone della cittadina vicina, che offrono del cibo, e aiutano nella pulizia degli ambienti, per quanto possibile.

Nel frattempo, nell’attesa, i dimenticati di questo mondo, i 38 bambini e ragazzi con problemi neurologici di varia natura e gravità, hanno fatto del sanatorio, di quelle stanze, delle due toilette, del colonnato e del prato, il territorio del loro Paese.

In questo Paese Minimo c’è una regola non scritta, fondante: ci si aiuta a vicenda – dato che si è da soli.

Chi può camminare, aiuta i ragazzi in carrozzina spingendoli; chi non riesce a mangiare viene imboccato da chi ha una maggiore destrezza nelle mani. Giocano quando possono, insieme se riescono.

Loro, non si abbandonano: come dei naufraghi, sono solo esseri umani, resi uguali dalla loro condizione di naufrago.

Scrollandoci di dosso le emozioni, abbiamo fatto ciò che sapevamo fare di meglio - abbiamo visitato alcuni ragazzi e ragazze, pur non avendo mezzi sufficienti: non eravamo - neanche noi - partiti per loro, in fondo. Non avevamo con noi il neurologo e lo psichiatra, né loro, i naufraghi, avevano le loro cartelle cliniche.

I due clown – Marco e Francesca - hanno giocato con loro, durante le operazioni di visita, mentre una bimba di 2 anni, ipovedente, si è attaccata al collo di un’infermiera, Alessia, e non la lasciava. In quei momenti erano vive e sorridenti.

Ci siamo confrontati con le tre educatrici, circa i bisogni immediati e di medio termine e poi, al calare della sera, siamo partiti, senza poter portare nessuno di loro con noi, ma avendo aperto una linea diretta di comunicazione.

La difficoltà nel prendersi cura organicamente di queste persone, infatti, risiede nel fatto che erano pazienti già strutturati, e che, per poterli trattare, al di là dell’emergenza, si dovrebbe ottenere un permesso rilasciato dalla stessa autorità che li ha abbandonati causa guerra. Anche avendo avuto i mezzi, non avremmo potuto legalmente portarli con noi.

Quel che si può fare è costruire un’assistenza sul posto. Serve far arrivare medicinali, strumenti per l’igiene, un neurologo, uno psichiatra per ricostruire le loro cartelle cliniche. Mentre ci si muove affinché – una volta valutati caso per caso – si possano definire i percorsi di cura ed integrazione, ove possibile, dei ragazzi, ed iniziare ad attuarli.

Dopo aver passato la notte a Kazimierz Dolny, una cittadina medievale sulla Vistola, siamo tornati a Bojànow per raccogliere i piccoli pazienti da trasportare, e siamo poi partiti alla volta dell’Italia, percorrendo al contrario il percorso dell’andata. L’ultima bambina, con un diabete non compensato, è arrivata all’Ospedale di Noale verso le 9 dell’indomani mattina.

Ma siamo arrivati in Italia solo per tornare: i Dimenticati ci stanno aspettando.

La missione è stata promossa dalla Croce Bianca di Vicenza, alla quale va tutto il nostro ringraziamento e sentito apprezzamento, con la preziosa partecipazione dei Doctor Clown.

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