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Internazionali

LA CINA SI PREPARA ALLO SCONTRO CON L'OCCIDENTE

LA CINA SI PREPARA ALLO SCONTRO CON L'OCCIDENTE

di Guido Salerno Aletta e Tommaso Sessa
 
È stata accolta con sorpresa la recente decisione della Banca del Popolo cinese di abbassare i tassi di interesse e di immettere nuova liquidità nel sistema bancario: fino ad ora, infatti, non era mai successo che la sua politica monetaria si muovesse in palese controtendenza rispetto a quella della Fed che invece continua imperterrita nella sua stretta sui tassi. 
Ci sono numerose ragioni che militano a favore della decisione della BPOC: la prima è che in Cina il tasso di inflazione è particolarmente basso, appena il 2,7% a luglio scorso rispetto ad un anno prima. C’è una sola eccezione, l’aumento del prezzo della benzina: ma le tensioni si stanno riducendo, visto che rispetto al +27,2% di luglio, ad agosto c’è stato un +20,8%.
I dati sulla bassissima inflazione in Cina, che potrebbero essere considerati poco affidabili visto quanto succede negli Usa, in Gran Bretagna e nel resto dell’Europa, sono convalidati da quanto accade in Svizzera, dove l’aumento dei prezzi è sotto controllo visto che ad agosto sono aumentati solo del 3,5% rispetto all’anno prima. 
C’è un motivo preciso che accomuna i dati di Cina e Svizzera: diversamente dall’euro, infatti, che nel giro di un anno e mezzo si è svalutato esattamente del 20% sul dollaro, essendo passato dal cambio di 1,20 del 1° marzo 2021 alla parità del 1° settembre scorso, facendo imbarcare inflazione attraverso l’aumento dei prezzi all’importazione delle merci quotate in dollari, la moneta cinese ha perso pochissimo valore: nel medesimo periodo, il cambio sul dollaro è sceso di appena 44 centesimi, passando da 6,46 a 6,90. Per un Paese che vive di trasformazione industriale, il controllo dei costi delle importazioni è fondamentale, insieme a quello della energia che viene impiegata nei processi produttivi. Il cambio CHF/USD ha avuto una dinamica ancora migliore, essendo sceso appena di sette centesimi, passando da 1,02 ad 1,09. 
I movimenti dei capitali che hanno abbandonato l’euro a favore del dollaro, comportando la svalutazione del primo,  sono stati fortemente influenzati non solo dall’aumento dei tassi nominali deciso dalla Fed, quanto dalla ormai insostenibile penalizzazione che è derivata in Europa dai tassi di interesse nominali negativi derivati dagli interventi ripetuti della Bce, sia in termini di remunerazione dei depositi ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria che di rendimenti sui titoli di Stato, soprattutto quelli tedeschi. A parità di rating e di tassi di inflazione, gli investimenti in Bund sono stati davvero troppo mortificati. 
La seconda ragione che ha indotto la manovra monetaria espansiva in Cina risiede nella necessità di non aggravare il logoramento del clima di fiducia delle imprese: il C-PMI sta declinando rapidamente, essendo passato dai 54,1 punti di giugno ai 51,7 di agosto. In pari tempo, il segmento manifatturiero è già in contrazione, essendo sceso dai 50,2 ai 49,4 punti; per i nuovi ordini per l’export, il calo è stato ancora più significativo, da 49,5 a 48,1; per i contratti in mano, il ripiegamento è costante, visto che da 46,1 di maggio si è arrivati a 43,1 di agosto. Spiccano invece in positivo sia i dati riferiti alle nuove costruzioni, con 59,2 punti a luglio e 56,5 ad agosto: l’iniziativa di costituire un grande fondo immobiliare deve aver galvanizzato gli operatori, che si dimostrano positivi in ordine elle attività di business attese, con 58,4 punti ad agosto. La riduzione dei tassi di interesse e l’immissione di nuova liquidità vengono incontro al miglioramento delle prospettive nel settore immobiliare, così tanto in difficoltà in questi anni, ed al fermento per nuove iniziative. 
C’è un terzo aspetto che va sottolineato: per governare l’economia, la Cina continua ad usare gli strumenti bancari classici, il credito, piuttosto che quelli tipici dei mercati finanziari, che si rivelano tendenzialmente incontrollabili. Negli Stati Uniti ed in Europa, infatti, le recenti dinamiche dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici sono presiedute da meccanismi di mercato talora smaccatamente speculativi che sono stati alimentati dalla enorme liquidità immessa dalle rispettive Banche centrali con i Qe. Niente tutto di questo ha mai fatto la BPOC.    
Una quarta ragione, la più importante, giustifica l’allentamento monetario: Pechino deve creare per tempo le condizioni idonee a reflazione l’economia interna, anticipando la caduta della domanda internazionale che è attesa per l’autunno ed ancor più per l’inverno per via della crisi in cui si troveranno gli Usa e l’Europa. Una serie di fattori politici, economici e sociali, tutti difficilmente gestibili, renderanno più che probabili situazioni di vicendevolmente contagio: in questo contesto, l’inasprimento delle politiche monetarie già in corso da parte della Fed e della Bce al fine di contrastare l’inflazione, non potrà che esacerbare le difficoltà. 
Pechino ha vissuto drammaticamente l’esperienza della crisi americana e poi globale del 2008, cui dovette rispondere in modo concitato e mal congegnato, creando i presupposti per la creazione della bolla immobiliare e di infrastrutture finanziate a debito a livello locale di cui sta ancora subendo le pesanti conseguenze. La Cina non si farà sorprendere: non è più né fiduciosa nell’Occidente, né impreparata.
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