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Internazionali

La questione dello Xinjiang-Uygur

La questione dello Xinjiang-Uygur

GIANCARLO ELIA VALORI

Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France

Gli Usa, il Canada, il Regno Unito e l’Unione europea hanno intrapreso a fine marzo scorso un’azione concertata per annunciare sanzioni contro le violazioni dei diritti umani degli uiguri e di altre minoranze etniche nello Xinjiang-Uygur da parte del governo cinese.

È la prima volta dall’incidente di piazza Tienanmen nel 1989 che l’Unione europea e il Regno Unito hanno imposto sanzioni alla Cina per questioni di diritti umani.

Inoltre, anche l’Australia e la Nuova Zelanda hanno rilasciato dichiarazioni in cui esprimevano sostegno alle sanzioni congiunte contro la Cina da parte di Usa ed Unione Europea. Il Segretario di Stato americano Tony Blinken ha dichiarato che “l’operazione transatlantica congiunta invia un segnale forte a coloro che violano o calpestano i diritti umani internazionali”.

Questa operazione congiunta è chiaramente parte di uno sforzo concertato degli Usa per lavorare con i suoi alleati occidentali contro la Cina attraverso sforzi diplomatici.

Noi ci chiediamo dopo guerre massacranti nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, e prima ancora in Corea e in Vietnam:

1) Perché si vuol aprire un altro fronte del tipo esportazione della democrazia con le bombe?

2) Perché la questione dello Xinjiang-Uygur è diventata un argomento esiziale che riunisce gli Usa ei loro alleati per sanzionare congiuntamente la Cina, mentre s’ignorano i barbari comportamenti codicizzati dalle retrograde, ma alleate, monarchie del Golfo?

3) Perché la questione dello Xinjiang-Uygur riceve sempre più attenzione dalla comunità internazionale?

4) Perché gli Usa utilizzano le questioni relative ai diritti umani dello Xinjiang-Uygur per formare una tendenza diplomatica con gli alleati occidentali contro Pechino e dimenticano i neri ammazzati per strada in casa loro?

Vediamo di capire.

L’importanza strategica dello Xinjiang-Uygur per la Cina è simile a quella del Tibet (Xizang). La regione autonoma dello Xinjiang-Uygur è la più grande unità provinciale in Cina, copre un sesto del territorio cinese; confina con Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India; può essere utilizzata come base dalla Cina per influenzare i suoi vicini. Però lo Xinjiang-Uygur può essere adoperata quale testa di ponte da potenze esterne per minacciare, a loro volta, l’integrità territoriale della Cina.

Lo Xinjiang-Uygur ha pure un immenso valore economico come il Tibet (Xizang): risorse di petrolio e gas, e può essere utilizzato anche come canale per importare energia dal Kazakistan. È pure un sito per armi nucleari e test missilistici cinesi.

Storicamente, quest’area è stata sotto l’influenza di diverse forze e che man mano rivendicavano quei territori. Per migliaia di anni, i deserti e le montagne dello Xinjiang-Uygur sono stati atttraversati da mercanti, e i popoli e gli eserciti la percorrevano ininterrottamente, a volte formando alleanze con l’Impero di Mezzo, altre per liberarsi dall’influenza dell’imperatore, per poi ricadere in mani peggiori.

I cinesi che iniziarono a recarsi colà prima del XIX secolo hanno incontrato persiani, musulmani, la maggior parte dei quali era di lingua turca, e non per nulla l’altro nome del territorio è Turkestan Orientale.

La regione non venne completamente incorporata nel sistema amministrativo cinese che nel 1884, quando fu divisa in provincia e chiamata Xinjiang, che si traduce in “nuova frontiera”. Tuttavia, il controllo della Cina era fragile, e quando la presenza di Pechino era ancora al minimo nel 1944, la popolazione locale annunciò l’istituzione di una repubblica di breve durata, detta appunto del Turkistan Orientale – a sua volta sostenuta dall’Unione Sovietica di Stalin, il quale – come gli Usa oggi – desiderava rientrasse nella propria zona d’influenza.

Però siccome Stalin, era un grande uomo di Stato e non un parvenu da laurea breve quadriennale – con la nascita della Repubblica Popolare Cinese, il Georgiano s’accordò a che il territorio fosse reintegrato nell’Impero di Mezzo quale Regione Autonoma dello Xinjiang-Uygur.

Per consolidare il controllo amministrativo e politico nella regione autonoma, la RP della Cina ha utilizzato gli stessi metodi in altre aree circostanti: sviluppo dell’immigrazione, commercio, assimilazione culturale, integrazione amministrativa e isolamento internazionale.

Già nella metà del XVIII secolo, il governo Qing aveva creato un’industria nazionale vicino a Ürümqi, la capitale. Nel secolo successivo i mercanti cinesi giunsero in gran numero. Dopo il 1949, la RP della Cina pose la regione autonoma in un piano nazionale che prevedeva la direzione del commercio locale verso l’economia interna della Cina, vietando quello di frontiera e i movimenti di popolazione che erano diffusi in passato fra confini allora indefiniti e malgovernati.

Nel 1954, Pechino istituì il Corpo semi-militare di produzione e costruzione dello Xinjiang-Uygur per trasferire ufficiali e soldati smobilitati e altri immigrati cinesi in industrie, miniere e imprese. Durante la Rivoluzione Culturale degli anni Sessanta, migliaia di diplomati delle scuole medie furono delegati a svolgere compiti nello Xinjiang-Uygur da varie città della Cina, in particolare Shanghai, e la maggior parte di loro viveva nelle fattorie. Ricordo il grande entusiasmo da parte di alcuni grandi partiti europei a queste notizie: gli stessi partiti che, cambiati i nomi, oggi versano le lacrime amare di Petra von Kant assieme a Biden.

Nel censimento del 2010 – secondo le statistiche ufficiali – su 21.815.815 abitanti, il 45,4% sono uiguri e il 40,48% cinesi anche se il numero reale potrebbe essere anche più alto; tra le numerose minoranze etniche ufficialmente riconosciute: kazaki e musulmani di etnia cinese.

Nei decenni precedenti al 1980, lo Xinjiang-Uygur si sviluppò lentamente in quanto confinava con l’allora ostile Unione Sovietica post-1960, e per la sua aspra e notevole distanza dalle altre parti della Cina. Tuttavia, quando Deng Xiaoping attuò le riforme dagli anni Ottanta, la politica di sviluppo cinese creò la domanda per le risorse di carbone, petrolio e gas dello Xinjiang-Uygur, rendendo l’area locale uno dei maggiori produttori cinesi di combustibili fossili.

Negli anni Novanta, la Cina ha iniziato a costruire oleodotti per trasportare il petrolio dall’estremo ovest al mercato continentale. Nel 2001, Pechino ha annunciato una politica di “sviluppo occidentale” volta a sfruttare appieno le risorse dello Xinjiang-Uygur. Il governo centrale ha investito miliardi di dollari per costruire infrastrutture e creare incentivi politici per attrarre società nazionali ed estere.

Questo ha significato che la popolazione ha incrementato il proprio Pil procapite, oltre ad aver elevato il livello d’istruzione. Inoltre la Cina ha modernizzato la società, per cui si è resa invisa a quei musulmani integralisti che, tracimando del terrorismo, ora chiedono aiuto a coloro i quali, per far crollare il governo laico siriano, in principio hanno finanziato l’ISIS, sul ritornello “chi è nemico del mio nemico è mio amico”.

Per la maggior parte dell’era maoista, gli uiguri, così come i meno numerosi kazaki, kirghisi e altre minoranze etniche, furono costretti ad abbandonare l’Islam, imparare il cinese e lasciare i loro costumi e abitudini tradizionali. Tutto questo con grande gioia dell’allora occidente epicureo e ateo che ha sempre disprezzato la fede: ulteriore elemento di contrasto da parte in seguito degli integralisti.

Come in Tibet (Xizang), gli uiguri più tradizionalisti ritengono che la loro terra sia stata invasa da immigrati cinesi e le loro vite siano sopraffatte da uno stile “occidentale” imposto dall’esterno: pretesto che Erdoğan è stato il primo a cogliere, non lasciandoselo sfuggire nella sua concezione panturanica.

Infatti dopo l’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991, le comunità turaniche e immigrate uigure nei tre neo-Stati confinanti dell’Asia centrale: Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan hanno vissuto una resurrezione culturale e religiosa, creando un nuovo senso di speranza e potere tra gli uiguri nello Xinjiang-Uygur.

Dagli anni Ottanta al 2001, manifestazioni, rivolte, omicidi occasionali e attentati terroristici si sono verificati con sempre maggiore frequenza. Il governo cinese afferma che l’obiettivo dei criminali è 1) quello di separare lo Xinjiang-Uygur dalla Cina, e 2) i separatisti uiguri sono terroristi legati ad al-Qaeda.

Tutte queste accuse sono controverse, perché la maggior parte degli uiguri, musulmani sunniti laici o moderati non hanno affatto creato un movimento di resistenza, in quanto la società uigura non è integrata attorno a parametri specifici islamisti.

Molti incidenti sembrano avere cause varie e talvolta personali, e spesso provocano vittime. Ma in ogni caso, le autorità hanno lanciato una serie di campagne di severo ordine pubblico, temendo che anche il minimo segno di dissenso, quali una manifestazione, un corteo, uno scontro a fuoco con la polizia, sia amplificato dai soliti altoparlanti per creare le premesse di un sanguinoso conflitto civile locale, che – al contrario del siriano – potrebbe trasformarsi nella Terza e Ultima Guerra Mondiale.

E tutto questo non si scatenerebbe di certo per proteggere dei musulmani integralisti a difesa dei diritti umani. Le cause sono sempre le solite.

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