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Politica

OCCIDENTE E ORIENTE QUANDO MUORE UN IMPERO

OCCIDENTE E ORIENTE QUANDO MUORE UN IMPERO

di Paola Bergamo

PAOLA BERGAMO

“Noi non siamo Occidente!
Quando il sole meriggia ed esso in cielo, è zenitale a Roma
-sta la terra immota- e quale si promise ad Orazio e alla sua prole.
Anglia e Gallia, di preda e di parole prodighe al mondo,
sì che tanto male gonfiato ha il Tevere e la Sprea, han sole e cieche,
infranto il Mondo Occidentale.
Noi non siamo d’Oriente!
Ma d’Oriente vento romba e tempesta...arcobaleno poi solca il ciel
fra i due mari italiano.
Guarda America e Guarda il Vaticano
Pochi Italioti: l’Aventin Sereno
fatto è rocca sociale ad ogni gente.”
(Mario Bergamo- Ai Signori d’Occidente-1949)

 Rileggo di tanto in tanto questi versi ch’Egli, dal suo esilio destinò nel ’49 “Ai Signori d’Occidente” parlando della sua Patria cui mai fece ritorno.
La guerra era da poco finita, il Mondo si era riordinato compresa l’Italia né Occidente, né Oriente.
Pieni e concisi i versi di Mario Bergamo, politico sui generis, riassumono ogni questione.
Se la sintesi è propria della poesia non dissimilmente questa dovrebbe essere peculiarità anche della politica.

Il “Vecchio Continente”, culturalmente appare fiaccato e accerchiato. Geograficamente è un insieme di protuberanze, increspature, quasi rughe, lì all’ Ovest di quel mastodontico continente che è l’Eurasia di grande vivacità e fermento. Le rughe, che sarebbero espressione di saggezza, di chi ne ha viste tante, oggi appaiono più i solchi di una Europa senz’anima lontana e avulsa dal sentire del suo popolo.

Sul sentire popolare, si potrebbe azzardare che si è fatta una operazione psicologica magistrale. Con la pandemia per più di due anni si è abituata la gente comune ad un linguaggio di guerra. Come avviene durante le guerre, quotidianamente veniva comunicato il bollettino dei caduti. I dispositivi sanitari di protezione come le mascherine venivano definite armi, scudi di difesa. Il linguaggio della pandemia, con le sue metafore militari, sembrano essere state preparatorie. Si parlava di un tiranno (il virus) che attentava alla nostra vita. Eravamo stati invasi e dovevamo combatterlo: insomma eravamo in guerra. L’esperienza di una emergenza sanitaria, tra lockdown e “coprifuoco” e il linguaggio bellico predominante hanno indotto e amplificato lo stato psicologico della paura. La paura comporta aumento dell’adrenalina e davanti ad un pericolo nell’uomo scattano tutta una serie di meccanismi per cui non si è più socievoli, si elevano barriere, si assumono comportamenti rancorosi, intolleranti e rissosi. Sono gli stati psicologici che la guerra raccoglie e fa propri. Magari sarà stato tutto casuale, sta di fatto che una guerra vera, subito dopo la pandemia, è arrivata nel cuore dell’Europa ed è una guerra di sfida che riguarda i rapporti di forza tra imperi nel passaggio da una visione unipolare a quella multipolare del mondo. Lo scontro in atto è complesso perché non riguarda solamente un problema di interessi tra nazioni e imperi ma pure tra poteri finanziari trans-nazionali.
Nel frattempo la sfida in atto è un gigantesco tritacarne.

Tornando all’Europa, le nazioni del “Vecchio Continente” hanno conservato proprie caratteristiche, forti identità e mentalità e una vivacità di differenze persino negli idiomi, che poi sono ricchezza e patrimonio dell’identità europea. Ciò ha permesso lo sviluppo di una grande civiltà. Sono per buona parte Nazioni di terra e anche se alcune si affaccino pure sui mari e hanno una visione del mondo diversa da quella di un’isola come l’elegante e regale “Albione” o quella del “Nuovo Mondo”.

L’Inghilterra conserva grandi tradizioni. La recente incoronazione ci ha quasi proiettato in un mondo antico, quasi da fiaba, palesando, con simboli e archetipi, un solido radicamento. La sua storia ha grandemente influito sulle sorti del mondo e per una certa qual sua indiscutibile “disinvoltura” è stata definita, non sempre a torto, “perfida Albione ”come disse il Marchese Agostino di Xiemenes, un francese di origine spagnola in un suo scritto di fine settecento o come recitava un manifesto tedesco anti-britannico, durante la prima guerra mondiale o più tardi ebbe a dire con la sua sporgente mascella lo stesso Mussolini. Anche da qui nasce il perché di quell’incedere ondivago che caratterizza l’Europa. “Albione” è isola grandemente capace nella sua politica estera, non meno della sua emanazione, il “Nuovo Mondo”, divenuto poi l’impero potente e a tratti prepotente.
Ma si sa: le isole da sempre fanno le isole e alla mal parata decidono di allontanarsi o chiudersi agli altri e lo possono fare quando nascono per di più facoltose.
La ricca Inghilterra, sempre capace di stupirci, se soffre di un clima brumoso e pluvioso, che forse incide pure nel carattere della sua gente, a suo ribilanciamento ha, tra le tante fortune, quella di non sapere cosa significhi essere sprovvisti di energia abbondando anche di carbone e petrolio.

“In mezzo alle terre” c’è un mare, placido e infingardo, a momenti quasi lacustre se paragonato alla riottosità delle onde oceaniche. E’ un mare bellissimo, il Mediterraneo, “Mare Nostrum” quello dei Romani, in cui vi si staglia, quasi sentinella, una lunga lingua di terra saldamente agganciata al suo Continente. Sembra galleggiare come una portaerei, quasi un’isola ma isola non è.
Come un cuneo si proietta verso l’Africa quasi fino a sfiorare le “Piramidi”. Si tratta della bella “Esperia”, così i Greci l’avevano chiamata, perché vista dalla loro posizione pareva sospinta in direzione della “Stella della Speranza” . Esperia non somiglia a Albione. E’ terra baciata dal sole e lo si riconosce anche dal carattere della sua gente ma a bilanciamento, a sua volta è penalizzata da una costante carenza di materie in primis energetiche. E’ però la terra della fantasia, dove l’impensabile diventa possibile e gli Italiani da impareggiabili trasformatori, se servisse, divengono pure inguaribili trasformisti.
E’ terra la nostra, allora come ora, testimonianza del tempo, custode di quella che fu la grandezza bellezza, a all’occorrenza durezza, di un incredibile Impero, quello di Roma, che si espandeva su tre continenti Europa, Africa e Asia per una superficie di 5 milioni di Kmq. Roma è terra antica e ardita, culla di cultura, del diritto che è a fondamento della nostra civiltà .


Dopo una grande costruzione vi è la inevitabile dissoluzione con tutti gli strascichi “in secula seculorum”, che si susseguono quando un Impero muore. E così, senza ripercorrere tutti i sentieri della Storia, proprio lei, l’antica Esperia, paradossalmente oggi è tra le più giovani nazioni d’Europa. Sono solo 160 anni da quell’Unità che permise di ricucire il secolare frazionamento subìto, risorgendo finalmente dal dominio dello straniero. Un complesso processo politico e spirituale per riappropriarsi del proprio destino per il quale si potrebbe dire che c’è ancora da fare.

Se storia e geografia, hanno un loro senso binario da cui è impensabile prescindere, poi a scompaginare e a rendere complessi i giochi ci pensa l’economia e a peggiorare i problemi ci si mette un certo tipo di finanza che sembra portare in sé un germe strano quello di considerare l’umanità un impiccio.
Così avviene che è fondamentale il controllo su tutto .
Se per chi è di continente è consustanziale pensare alle vie di terra (Heartland Concept) accade che per chi nasce isola è determinante quello sulle vie d’acqua (Rimland Concept) secondo la massima che chi controlla i mari poi governa l’isola mondo. La storia dell’Anglosfera e anche storia di guerre.

I popoli dell’ Occidente Europeo, siccome nei secoli si sono aspramente combattuti tra loro, di fatto aborriscono la guerra. Vorrei che la guerra diventasse un tabù, come accadde per l’incesto.
L’incesto, che esiste ed è normale nel mondo animale, fu eretto a tabù in quello umano. Così sono nate famiglie e società. La guerra come tabù, se mi guardo attorno, è una utopia. L’uomo non è mai uscito realmente dalle “caverne”.

Ci sono due tipi di guerre: quelle legali e guerre illegali.
Lo storico e ricercatore svizzero Daniele Ganser, afferma che sono almeno tredici i conflitti illegali dell’Occidente – Iran, Guatemala, Egitto, Cuba, Vietnam, Nicaragua, Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria e, infine, Ucraina.


Nel 1998, 150 stati delle Nazioni Unite e 320 Ong, allo scopo di trovare il modo di punire aggressioni, genocidi, crimini di guerra e contro l’umanità, presero la decisione di creare la Corte Penale Internazionale. Però l’ America, che peraltro è quella del processo di Norimberga a seconda guerra mondiale conclusa, non ha voluto aderire alla CPI dell’Aja. Nel marzo scorso la CPI, mentre la guerra in Ucraina è tutt’ora ancora incorso, ha già spiccato un mandato di cattura per Putin. Ma la Russia e del resto la Cina non hanno mai aderito alla CPI e nemmeno l’Ucraina e il Sudan, mentre Israele ha firmato la Convenzione di Roma ma non l’ha mai ratificata.


Se fino a poco prima del conflitto Russo-Ucraino, poteva essere ancora rilevante un posizionamento degli interessi economici e geopolitici dell’Europa Occidentale in Eurasia, sotto forma di ingenti scambi commerciali, energetici, e culturali, lungo l’asse delle vie di comunicazione terrestri, ora questo è lettera morta. Questo tipo di visione avrebbe comportato una diminuzione della rilevanza strategica dell’area Nord-Europea che trova nelle vie di comunicazione marittime atlantiche, lo spazio di manovra, affermazione e penetrazione egemonica della potenza americana in Europa.

Imperi vecchi, imperi nuovi! Pur sempre di Imperi si tratta con cui una Europa, ancora in cerca d’autore, e la fragile “Esperia” devono far di conto, a quanto pare senza sconti.
La Ue non è l’Europa che volevano i dei Padri fondatori. Certo è una forma di Unione, che però è costruzione che persegue fini propri ma il prezzo delle sue scelte, spesso non condivise dal popolo, ricadono sui cittadini costretti a accollarsi e subire le conseguenze di errori di valutazione o le strategie delle grandi multinazionali finanziarie globali che, indifferenti, e con narrazioni create ad hoc, impattano inesorabilmente sul rialzo del costo della vita e attentano all’idea stessa della felicità.


La Cina rivendica il suo ruolo di potenza economica e la Russia non ci sta a farsi marginalizzare.
Il caos nel mondo è frutto della difficoltà di ridisegnare un nuovo ordine mondiale che passa attraverso il ritorno dell’ idea economico- protezionistica americana con una de-globalizzazione costosa, espressione dell’ isola che si rinchiude in sé stessa per non morire. La guerra ucraina porta con se alcune conseguenze già raggiunte: la ridefinizione dei confini Nato, lo sganciamento dell’Europa dalla Russia, rompendo il cordone ombelicale del gas, frutto della germanizzazione europea dell’era Merkel nostalgica dell’Est. La guerra ha poi rallentato la capacità di permeazione cinese attraverso la via della seta.

Al di là delle narrazioni, è difficile sostenere che il 24 febbraio 2022 sia la vera data di inizio della guerra in Ucraina, anche se il 24 febbraio 2022 è di sicuro il giorno in cui Mosca ha dato vita alla sua “operazione speciale”, di fatto una guerra, invadendo un'altra nazione e violando il diritto internazionale.

La concordia tra le genti è nell’alveo del Diritto Internazionale e questo principio deve valere anche per l’Occidente.

L’umanità, dopo tanti versamenti di sangue, ha fatto lo sforzo di fondare la legalità internazionale. Non esistono guerre giuste e la storia insegna che prima o poi tutte le controversie, anche quelle che appaiono irrisolvibili, cessano attraverso la mediazione diplomatica.

L’ONU è stato creato per mantenere la pace e interdire le guerre. L’unica guerra rimasta concepibile è quella che risponde al diritto di auto-difesa. Ma è indispensabile che siano chiare e palesi le vere cause di un conflitto.
Putin ha calpestato il diritto internazionale ma questa guerra non è solo quella fratricida tra Russi e Ucraini, quanto un braccio di ferro tra Oriente e un certo tipo di Occidente. Ecco il punto è questo.

Il rapporto in termini di capitale umano, cioè di combattenti a disposizione tra Russi e Ucraini, è di 4 a 1. E’ quindi verosimile che all’Ucraina ad un certo punto non basteranno più solo le armi.


Il Mondo guarda, osserva, ricorda il passato e giudica il presente.
Le spese militari dell’Occidente sono di molto superiori a quelle dell’intero pianeta. Un semplice raffronto tra grandi potenze dimostra che la spesa militare pro-capite degli Stati Uniti (con meno dello 0,05 per cento degli abitanti del pianeta), è più di quattordici volte superiore a quella della Cina. Se a questo si aggiunge la forza degli Alleati, è evidente che stiamo parlando di una potenza militare esorbitante.

Nel secolo scorso vi era una precisa corrispondenza tra la grande capacità militare (dell’Occidente) e la sua potenza economica . Oggi non è più così come, probabilmente, anche culturalmente l’Occidente non è più dominante.
Ci sono Paesi, basti pensare a Cina e India, che hanno prodotto un grande incremento e sviluppo del loro sapere anche scientifico e tecnologico. La Cina o la sola India hanno più abitanti dell’Occidente, la Cina ha una economia comparabile a quella dell’Occidente. L’India è “matematica allo stato puro” e la sua economia è tra quelle in maggior crescita.
Quello che resta ancora difficile da eguagliare tra gli “Imperi” è lo strapotere militare dell’Occidente.

Le armi, esprimono forza persuasiva e dissuasiva.
Però oggi viene spontaneo chiedersi se, a fronte della crescita economica degli altri, quanto a lungo possa pagare ritener di poter destabilizzare e comandare il mondo con le portaerei, con le armi e con le guerre.

Tutti gli Imperi prima o poi decadono con un lento processo all’inizio quasi impercettibile. Poi, via via, tutto si fa più convulso e doloroso, e alla fine, anche gli imperi muoiono.
Quando muore un impero regna il caos.
Non ci resta che cercare di salvare il salvabile.



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